Accordi con la Cina

Cina e Filippine hanno accettato di collaborare nell’esplorazione di petrolio e gas. Il presidente filippino Rodrigo Duterte e quello cinese, Xi Jinping, si sono incontrati martedì a Manila all’inizio di una visita di due giorni da parte del leader cinese, in cui i due paesi hanno annunciato 29 accordi, annuncio interamente trasmesso dalla televisione governativa PTN (People’s Television Network).

In pratica è un memorandum d’intesa per esplorare congiuntamente le risorse energetiche, soprattutto nel mar della Cina attorno all’arcipelago filippino che verranno realizzate dall’impresa statale cinese China National Offshore Oil Corporation.

l contratto deve essere ancora ratificato nelle sue parti principali ma si sa che circa le esplorazioni a mare aperto il risultato sarà condiviso solo dalle due parti. Tuttavia, non sembra essere chiaro se si seguirà la Costituzione Filippina la quale dice che si può direttamente intraprendere tali attività con società o associazioni straniere di cui però almeno il 60 per cento del capitale sia di proprietà filippina.

I governi filippini del passato hanno sempre criticato il comportamento della Cina nei mari contesi a nord ovest dell’arcipelago. Ma il governo attuale con Duterte, cerca di costruire un rapporto economicamente vantaggioso con Pechino. Nei mesi passati Duterte aveva detto che la Cina era è già padrona dei mari e contrastarla militarmente sarebbe stato inutile e quindi che, seguendo il noto consiglio evangelico, era meglio mettersi d’accordo con l’avversario più potente per ottenere qualche beneficio per il paese.

In futuro 34 dei 75 progetti infrastrutturali di punta nelle Filippine saranno realizzati dalla Cina.

 

Preti e pillole

Alle 17.00 di oggi, 23 maggio 2018, la popolazione delle Filippine conta 106 milioni e 341.328 abitanti, l’indicatore di nascite scatta ogni venti secondi e mentre scrivo questa prima riga è già nato un bambino o una bambina. Se dividiamo questa immensa popolazione per la superficie totale delle Filippine, 300.000 km quadrati simile a quella italiana, abbiamo 354 abitanti circa per chilometro quadrato.

Abbondano in TV e sui giornali le notizie sull’ambiente terremoti, siccità al Nord con temperature sopra i 50 gradi, piogge intense al Sud, spiagge inquinate come quella un tempo intonsa di Boracay notizie che dovrebbero portare ansia. Qua no! Nessuno protesta contro l’aria inquinante di MetroManila e fa più notizia la richiesta all’estero di forza lavoro, cioè di migranti: in Taiwan, Giappone, Polonia, Cecoslovacchia e Austria. Scomparsa la spaurita schiera di ecologisti filippini (chi si ricorda più di Macli-ing Dulag?) al massimo i guai ambientali vengono attribuiti all’aumento della popolazione. Secondo il presidente Duterte per ridurre le nascite la ricetta è semplice: “Do not listen to priests. Taking pills is not a sin. Kalokohan yan (That’s nonsense)  (Non credete ai preti e prendete le pillole, non è peccato!) Così si è spinto ad affermare nello scorso febbraio aggiungendo pure che se oggi la popolazione fosse solo di 50 milioni, non ci sarebbero problemi per il cibo e per il lavoro. Ma sono 106.

All’arrivo di Magellano, dicono, c’erano circa 2 o 3 abitanti per chilometro quadrato, oggi 354, che se li mettessimo equidistanti l’uno dall’altro potrebbero benissimo scambiarsi i saluti, gridando a squarciagola. Tuttavia, la distribuzione non è equa; c’è una bella differenza tra i 70 abitanti per chilometro dell’Arakan e i 42.000, sempre per lo stesso chilometro quadrato, di MetroManila che, in fondo, giustifica i casi di claustrofobia tra gli abitanti di questa mega metropoli di quasi 20 milioni di abitanti. Allontanarsi dalle città insomma, verrebbe da dire. In uno studio del lontanissimo 1989 la popolazione ottimale su una superficie di 300 mila chilometri quadrati era di 35 milioni, ma limitava l’insediamento in collina e montagna a soli 5 milioni di persone con lo scopo di mantenere sufficienti le foreste per assorbire la produzione di anidride carbonica, cosa abbastanza positiva per coloro che come me si trovavo di passaggio alle pendici del Monte Apo in Mindanao, riserva forestale in buona parte disabitata, ma anche pericolosamente aggredita dall’ascia umana.

Ma è vero che l’aumento della popolazione ci rovina la vita? L’impronta ecologica filippina 1.1 è ancora in buone condizioni e sotto il limite di 1.7 oltre il quale bisognerebbe darsi da fare per non consumare del tutto le risorse naturali necessarie ai nuovi nati. L’impronta ecologica d’ogni singolo abitante, è un indicatore del consumo che si calcola in base alle riserve naturali della terra e la loro capacità di rigenerarsi: le risaie, compresi i pascoli, le foreste, essenziali per assorbire l’anidride carbonica prodotta da uomini e animali, le aree dove si lavora e dove si abita, il terreno necessario per ospitare la propria abitazione e altro.  Mentre in Italia è di 4.1 e si è già in deficit (per mantenere gli italiani in un modo sostenibile ci vorrebbe un’altra Italia e mezzo), le Filippine non ancora.

Ma per quanto? Per tutta la ‘buona’ volontà posta per diminuire le emissioni velenose delle automobili (in forte aumento) nelle Filippine (basta andare sulla SLEX da Manila verso Batangas), si continuano ad allevare ovunque migliaia di maiali (niente contro di loro, ma di esalazioni ne producono in quantità), a usare pesticidi, a portare via terreno per nuove strade (ma utili sono), a dare concessioni alle compagnie minerarie, a ingrandire, cementando, i luoghi pubblici e le foreste rimaste boccheggiano per il troppo lavoro. Allargare le foreste e mangiare più verdura (meno carne) e noccioline, avrebbe dovuto dire Duterte come slogan invece di prendersela coi preti e le pillole, dato che in questa maniera più salutare una ventina di milioni in più di filippini potrebbero benissimo vivere in questo arcipelago nei prossimi anni con le cose che ci sono già e senza intossicarsi (a parte la solita MetroManila). Tuttavia, il problema ecologico filippino e l’ammassamento nelle città, prima o poi, dovrà essere affrontato. Ma dal poco che si può capire, l’unica strategia dei vari governi da anni non è cambiata: non creiamo posti di lavoro e riduciamo la popolazione esportandola all’estero e là respirino! E il mito della famiglia, fondamento del paese, unita sotto lo stesso tetto e lo stesso cielo? Cose da preti!

Lucius

BI arresta una suora, ma per poco …

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nunL’Ufficio d’Immigrazione delle Filippine (Bureau of Immigration, BI) ha eseguito l’arresto di una suora australiana, Suor Patricia Fox, 71 anni, che vive nelle Filippine da molti anni e appartenente alla Congregazione di Notre Dame di Sion, una congregazione religiosa presente in varie parti del mondo e arrivata nelle Filippine nel 1990. Molto probabilmente il fermo della suora è in relazione al suo impegno nell’IFFSM, International Fact-Finding and Solidarity Mission, una missione internazionale (composta tuttavia, in maggioranza, da associazioni filippine impegnate nel sociale) d’inchiesta e di solidarietà che si è data il compito di verificare le violazioni dei diritti umani.

Recentemente in Mindanao, nei primi di Aprile, una di queste missioni di circa 200 persone è stata bloccata per ben due volte prima di procedere nel luogo della sua investigazione per poi essere ricevuta con una certa e forzata ostilità dalla gente locale organizzata, non si sa da chi, in rally di “pace” e di protesta dove sono stati sbandierati cartelli con le scritte “Stay out” (State lontani) e altri inneggianti alla legge marziale (Defend Martial Law! Defend Peace!) In quella missione IFFSM si era dato il compito di investigare 63 casi di uccisioni extragiudiziali oltre a casi di arresti illegali e accuse sollevate contro semplici agricoltori e leader tribali.

Comunque il fermo è durato poco anche perché il capo del BI Jaime Morente ha approvato la raccomandazione di rilascio per ulteriori indagini dopo che è stato verificato che la suora ha un valido visto ‘missionario’ e, quindi, è una residente straniera adeguatamente documentata.

Duterte no alla Corte

A quanto pare le Filippine si ritireranno presto dalla Corte Penale Internazionale (CPI). Così ha affermato, o riaffermato, il presidente Rodrigo Duterte.  Un mese fa questo organo giudiziario aveva avviato un’inchiesta sulla controversa guerra alla droga, promessa dal presidente durante le elezioni presidenziali, per aver tuttavia incoraggiato uccisioni extragiudiziali e violazioni dei diritti.

Secondo le stime di Human Rights Watch, dal giugno 2016, questa guerra contro il narcotraffico, spaccio e consumo di droga, ha causato la morte di 12.000 persone. Secondo il governo delle Filippine ‘solo’ 3.900 persone .

La CPI non fa parte dell’ONU, ma i due organismi hanno un accordo di cooperazione. Le Filippine non sono il primo paese a lasciare la CPI. Russia, Burundi, Sudafrica e altri si sono recentemente ritirati. Altri paesi, come gli Stati Uniti, non si sono mai aggregati per il principio che la sovranità nazionale non può essere ceduta a un organismo internazionale. Già nel novembre dello scorso anno Duterte aveva espresso la decisione di uscire dal CPI seguendo l’esempio della Russia.

La CPI, in fondo, propone di allargare a tutto il mondo i principi della giustizia messi in pratica nelle società liberali, viste come le migliori società governate da una democrazia costituzionale ‘ragionevolmente’ giusta.  Ossia un diritto dei popoli (locali) che, fondato sui diritti dell’uomo come abitanti del pianeta, possa mettere un limite agli Stati nel loro comportamento interno, fondando anche un diritto di ingerenza.

Oggi le questioni sulla persona e sul bene comune sono relegate in secondo piano. Si assiste a una forte opposizione verso chi vuol far emergere la verità. Non è difficile prevedere che cosa accadrebbe alla giustizia liberale e alla democrazia costituzionale se diventassero solo autoaffermazioni anarchiche dell’io dei capi politici.

 

Fr. Chito Soganub

“The Prelature of St. Mary’s in Marawi welcomes the news that Fr. Teresito ‘Chito’ Soganub, its Vicar General, has been rescued by the Armed Forces of the Philippines at around 11 p.m. last night, September 16, 2017 near Bato (Ali) Mosque in Marawi City together with one other undisclosed companion,” its press statement read.

It said the entire Duyog Marawi team, an accompaniment journey with the people of Marawi by the Prelature in partnership with the Redemptorists,  “exploded with shouts of joy” in the midst of its monthly meeting as Fr. Nono Reteracion, CSsR “read the confirmation from several military personnel.”

Initial reports reaching the media said Soganub, also Acting Rector of the St. Mary’s cathedral and chaplain at the Mindanao State University (MSU) main campus here, and another hostage escaped from their captors near the Bato Ali mosque amid heavy firefight and that as the two were fleeing, they were identified by the military who brought them to a safer place.

Persistent media queries prompted Marine Colonel Edgardo Arevalo, chief of the Armed Forces of the Philippines’ Public Affairs Office to tell Defense reporters in the national capital shortly before 10 a.m. Sunday that they were “still validating that information. As of now, we cannot still give details. The rescue operation is still ongoing,”

Marawi, Day 117

The military announced through a press release late Saturday evening that the troops had taken control of the Bato Mosque and Amaitul Islamiya Marawi Foundation at 5 p.m. These two structures the military said were Maute strongholds But where are the hostages?

In a statement sent to the Defense Press Corps at 11:41 p.m. on Saturday,  Arevalo said the military had “fiercely fought five hours” before taking control of Bato Ali mosque and Amaitul Islamiya Marawi Foundation (JIMF) at 5 p.m. The military described these as “two of the Maute-ISIS Group’s strongholds.”

Questions have been raised by the media and the public if Fr. Chito escaped, was rescued by the military, was abandoned or released by the Maute Group, if  leaders Abdullah Maute and the Abu Sayyaf’s Isnilon Hapilon, the alleged Southeast Asian Emir of the ISIS, are still in Marawi or have escaped.

A resident who was watching the air strikes on the main battle area in downtown Marawi from the MSU golf course here Sunday noon told MindaNews he hopes the fighting will, indeed be over soon.

But the resident, among the 359,680 persons displaced by the war, according to statistics of the Department of Social Welfare and Development, said they hope they will not be told that Marawi has been liberated but the terrorists escaped.

(Carolyn O. Arguillas / MindaNews)

Un altro Presidente

Diverse volte nelle Filippine, paese democratico di stampo occidentale, un leader ha promesso di riformare il sistema, ma poi non s’è fatto niente. Anche dopo la Rivoluzione dei Rosari e la conseguente caduta di Ferdinando Marcos nel 1986. Del resto il paese per molti anni è rimasto nelle mani di governi di pochi, un modo di governare oligarchico che ha prodotto buoni, meno buoni e cattivi leader. L’ultimo Presidente, Benigno Aquino, quarta generazione di famiglia, ha governato il paese con grande cautela. Durante la sua presidenza c’è stata una crescita economica del paese e molti investimenti nelle strutture di base, nella istruzione e nella salute. Naturalmente molti si sarebbero aspettati una successione che venisse dalla sua stessa élite politica, magari con relazioni con la sua stessa famiglia, ma non c’è stata collaborazione tra ‘parenti’. Ha vinto così  Rodrigo Duterte, preferito da 16 milioni di votanti  su 42 che hanno votato (avevano diritto al voto 54 milioni, ma 10 milioni circa si sono astenuti), sindaco e vice-sindaco di Davao City, una città lontanissima da Manila, a sud e nell’isola di Mindanao. Una campagna populista, la sua, alimentata da decine e decine di sondaggi che già in partenza lo davano per favorito e lo hanno favorito.

Duterte sarà il prossimo e 16mo presidente delle Filippine. Probabilmente i precedenti modi di governare hanno stancato molti cittadini. Modi troppo distanti dalla gente comune.  Si desiderava dare una scossa al tradizionale sistema politico ed è quello che è accaduto,  col l’incognita, però, di non sapere bene come andrà a finire. Per ora le imprecise e imprecisate politiche di Duterte non sono rassicuranti. La ‘sua’ legge, da ex-avvocato, dura e punitiva ha raccolto consensi in molte isole dell’Arcipelago. Noto per aver favorito in Davao le eliminazioni extragiudiziarie di criminali è ora in favore della pena di morte per impiccagione. Vuole poi fare delle Filippine un paese federale per allentare la pressione e dominio di Manila, che a dir il vero si piglia sempre il meglio di tutto, ma  decentralizzare potrebbe portare più problemi di quanti ne risolva. Nella campagna elettorale era contro la corruzione, ma per ora non sembra avere ricette magiche per ostacolarla. Verso gli altri paesi asiatici non ha espresso opinioni, eccetto sulla ‘Cina’ e i ‘cinesi’, duro con la prima per la sua presenza nelle isole Spratly, tenero con i secondi offrendo loro larga partecipazione nella economia del paese.  Insomma squadrare il cerchio, se è necessario con la forza, con il pericolo di creare una infinità di nuovi angoli per doverli poi smussare.

Durante la campagna elettorale, Duterte, ha avuto un atteggiamento di sfida verso la Chiesa Cattolica (“Non votatemi se credete ai vescovi!”, e infatti 3/4 non l’hanno votato),  quando la Conferenza dei Vescovi Filippini si è schierata chiaramente contro la sua elezione accusandolo di essere in favore dell’interruzione della gravidanza e dell’eliminazione fisica, extra-giudiziaria, di criminali (a quanto pare, negli ultimi anni, 1.424 individui nella sola città di Davao). Il suo leader spirituale non è cattolico e si chiama Apollo Quiboly che ha fondato una setta chiamata il Regno di Gesù Cristo.Ii detti più famosi di Duterte sui criminali: “Kill them all!” (Ucciderli tutti!) e che ne “..farà fuori 100.000 mila e i loro corpi gettati nella baia di Manila per ingrassare i pesci”.(he would kill 100,000 criminals and dump their bodies in Manila Bay so the “fish will grow fat” from feeding on them).

Forse un po’ troppo spregiudicato, incorretto ma astuto, contraddittorio ma dicendo quello che pensa, Duterte dovrà darsi una regolata soprattutto nelle sue affermazioni verso le donne e sugli eventi tragici e seri della vita della gente. Ha recentemente detto che si comporterà ‘diversamente’ come Presidente. Così molti si aspettano da lui segnali di ritrovato buonsenso e sana energia. Magari anche solo qualche fuoco d’artificio tanto per rallegrare gli animi aspettando un altro Presidente fra sei anni.

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Nationwide, Duterte won in 10 regions – Mindanao’s six – and the National Capital Region, Region IVB (Calabarzon), Region 3 (Central Luzon) and Region 7 (Central Visayas).
Duterte got the highest number of regional votes – 2,127,273 — from the NCR or the 16-city and one-town Metro Manila. He lost in only one area, Makati, which voted for former Makati City Mayor Binay.
Cebu where Duterte attended a victory party on June 8, gave him the highest provincial vote nationwide, at 762,559.
Roxas won in the Negros Island Region (NIR), and Regions IVB (Mimaropa), 6 (Western Visayas) and 8 (Eastern Visayas).
Poe won in Regions 1 (Ilocos), 5 (Bicol), and the Cordillera Administrative Region (CAR) while Binay won in Region 2 or Cagayan Valley.

Perché le Filippine oggi ( dal Sole24ore)

La grande sfida del futuro risiede nei mercati asiatici che ormai sono caratterizzati da un sistema economico integrato. In Asia le Filippine offrono molti vantaggi in termini di costi (ridotti), qualità delle risorse umane, vicinanza culturale all’Occidente. Anche le vicende delle Tigri (asiatiche) vivono alti e bassi. Quelle delle Filippine hanno inizio negli anni’70: già allora il Paese era considerato dall’Occidente come una grande promessa; il primo Stato in Asia a incamminarsi verso una definitiva modernità,subito dopo il Giappone. Un luogo con grande disponibilità di manodopera a basso costo, dove delocalizzare vantaggiosamente produzioni ad alto impiego di manodopera, soprattutto dagli Stati Uniti. Eppure, questa prima partenza venne inaspettatamente deviata dalle vicende politiche. Il Governo di Manila guidato da Ferdinand Marcos degenerò, a partire dagli anni ’70, in una dittatura violenta e corrotta accompagnata da problemi di instabilità interna con veri e propri movimenti di guerriglia. Nell’ultimo decennio le Filippine hanno ripreso il cammino e sono oggi su livelli di crescita particolarmente elevati anche per gli standard asiatici (+ 7,6% il PIL del 2010). Stanno quindi recuperando il terreno perduto con il vantaggio di avere, rispetto ad altri, un piede in Asia (il mercato, i costi, i rapporti doganali privilegiati con la Cina e le altre Nazioni ASEAN) e uno in Occidente: la lingua, le basi giuridiche, la cultura profondamente cattolica. Le Filippine, ex protettorato statunitense, sono oggi, senza dubbio, la più occidentale delle nazioni asiatiche. E sono un grande Paese (oltre che un mercato particolarmente ricettivo) : 94 milioni di persone in aggiunta a 10 milioni di emigranti che ogni anno inviano rimesse per 20 miliardi di dollari. Il Governo di Manila questa volta c’è. Il nuovo presidente, Benigno Aquino III, eletto con una maggioranza senza precedenti nel 2010 ha ora lanciato un programma di riforme che prevede grandi investimenti insieme allo smantellamento di protezioni e ostacoli burocratici. Il programma coinvolge il miglioramento delle strade, di diversi aeroporti interni, del sistema di navigazione marittima, lo sviluppo della filiera energetica, la costruzione di metropolitane urbane. Ma la scommessa del Paese si basa oltre che sul dinamismo economico, sul maggiore ‘asset’ del Paese, la qualità delle risorse umane.

In Italia abbiamo imparato ad apprezzare solo una parte dell’emigrazione filippina. Altrove (Stati Uniti, Paesi del Golfo, Asia) opera anche una componente, molto qualificata ma altrettanto affidabile di medici, ingegneri, manager, insegnanti. Partendo da un patrimonio umano di questo livello, anche le imprese straniere che si installano nel Paese possono affrontare la sfida dell’Asia, in modo molto più agevole.

IL MERCATO

CONSUMI domanda aggregata di 120 miliardi di dollari con una popolazione di 94 milioni di persone che cresce nell’ordine di 2 milioni all’anno.

INVESTIMENTI piano di sviluppo delle infrastrutture per 60 miliardi di dollari nei prossimi anni. I settori: strade, porti e aeroporti, servizi a rete, energia.

SPESA SOCIALE 100mila nuove abitazioni previste a Manila (capitale di oltre 20 milioni di abitanti) nei prossimi anni e un piano sociale che prevede la costruzione di centinaia di scuole, nuove università e istituti tecnici, ospedali e strutture sanitarie locali.

TRATTATI DI LIBERO SCAMBIO con Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia, Thailandia, Malaysia, Indonesia, Nuova Zelanda, Vietnam, Cambogia.

PRINCIPALI FILIERE PRODUTTIVE edilizia – turismo – agroalimentare – produzione software – call centers e servizi di ingegneria per committenti esteri – meccanica e componentistica auto – tessile e abbigliamento – mobile e arredo – filiera del cuoio e calzaturiera – estrazione mineraria (oro, nichel e rame) – industria ceramica e del marmo.

COSTI DI INSEDIAMENTO affitti annui (standing elevato) pari a 260 dollari anno per m2, (Cushman&Wakefiled 2011) costo del lavoro indicativo per un ingegnere di 450 dollari al mese, per un operaio semplice di 8 dollari al giorno.

PARCHI INDUSTRIALI le Filippine offrono un vastissima scelta di aree già attrezzate riservate alle industrie esportatrici (Economic Zones) con un trattamento fiscale e doganale fortemente agevolato

Il mercato

Un Paese di consumatori Le Filippine differiscono dagli altri Paesi asiatici anche per l’elevato livello dei consumi, che coprono il 70% del PIL. Il dato è imputabile alla crescita di una classe media formata in gran parte da giovani ma anche a un fenomeno specifico: il massiccio afflusso di rimesse dall’estero per aiutare le famiglie. Questi soldi vengono canalizzati nei centri commerciali del Paese che sono oggi tra i maggiori di tutta l’Asia.

Economic Zones.

In questi Parchi industriali, diffusi in tutto Paese, è insediata la maggior parte delle industrie prevalentemente esportatrici (60/70 per cento) che possono beneficiare di una esenzione totale dalla tassazione sui redditi per un periodo iniziale che va da 4 a 6 anni. Dopodichè sono tassate con un’unica imposta forfettaria del 5% sul fatturato netto. Le merci da e verso le Economic Zones non subiscono le normali procedure doganali nei porti. L’importazione di attrezzature, semilavorati e materiali avviene in esenzione di dazio. Rilancio industriale Le Filippine, sono diventate uno dei maggiori poli produttivi dell’industria elettronica mondiale. Ciò a dimostrazione che le capacità nel Paese sono notevoli. E stanno crescendo anche in altri comparti, orientati sia ai mercati globali che al soddisfacimento di una consistente domanda interna (tessile e abbigliamento, meccanica, mobile e arredo ecc. Possono contare su una manodopera affidabile, con costo del lavoro inferiore alla stessa Cina, nonché su un’ampia disponibilità di manager, tecnici e quadri, spesso con esperienza internazionale (Asia, Mercati del Golfo, Stati Uniti) formati in università di modello statunitense. Eccellenti prospettive emergono anche nella filiera delle costruzioni e dei materiali, trainate da una forte domanda interna.

Un mercato ‘allargato’ di oltre 600 milioni di persone.   Le Filippine aderiscono agli accordi di libero scambio dell’Asean a cui partecipano anche Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar (Birmania) e Cambogia con una popolazione complessiva superiore ai 600 milioni di abitanti e un PIL di circa 1.800 miliardi di dollari. Grazie a questi accordi, la maggior parte dei prodotti ‘made in Philippines’ può accedere a questi mercati con una tariffa pari o inferiore al 5%. Si aggiungono le opportunità del Philippines Japan Economic Partnership Agreement (PJEPA) che consente all’81% delle esportazioni filippine di entrare in Giappone in esenzione di dazio. Sono altri 127 milioni di consumatori. Non solo, ma la stessa Asean, ha implementato una serie di accordi doganali di libero scambio con Giappone, Cina, Australia e Nuova Zelanda, Corea del Sud ed è in trattative per un analogo accordo con l’India. Questo significa che le aziende straniere che decidono di localizzarsi nelle Filippine grazie ai bassi costi di lavoro (i più bassi tra i Paesi emergenti della Regione, dopo il Vietnam) e alla eccezionale disponibilità di tecnici e manager preparati, possono godere degli stessi vantaggi.

Quando è facile comunicare.   Le Filippine hanno saputo sfruttare il vantaggio di un utilizzo diffuso della lingua inglese sviluppando un’industria del call center che si colloca al primo posto a livello mondiale. Dalle verifiche periodiche effettuate dagli utenti di questi centri, gli operatori filippini (spesso studenti universitari con buone competenze specifiche) risultano sistematicamente ai primi posti per ‘customer dedication’. Eccellenza nei servizi La Banca Mondiale ha recentemente effettuato una classifica da cui risulta che le Filippine sono il terzo Paese al mondo per incidenza dei servizi sul totale delle esportazioni. Non solo call center e turismo ma anche attività di back office per banche e società internazionali (la sola Accenture ha 25mila dipendenti nelle Filippine), centri di progettazione e produzione/gestione di softwareper multinazionali come Siemens.

Tra i Paesi emergenti del Fareast il Vietnam presenta tuttora i costi più contenuti. Le Filippine si collocano al secondo posto. In cambio il costo di tecnici e manager è molto inferiore. Con l’ulteriore vantaggio che nelle Flippine parlano perfettamente l’inglese ed escono da università di tipo statunitense.

Costo operai, quadri e manager Costo annuo risorse umane compresi oneri sociali e bonus (in dollari)

Paese                            Operaio  Tecnico/ing   Manager

Vietnam(HoChiMinhCity)     2.212      4.586       10.556

Filippine Cebu                    2.470      4.005        8.694

Filippine (Subic)                 2.993      5.150       12.600

Indonesia (Batam)              3.163      6.325        9.325

Indonesia (Jakarta)             3.598      5.913       15.576

Cina Dalian                         4.036      9.592       15.018

Cina Shanghai                    5.710     12.016       22.782

Malaysia Kuala Lumpur        4.197     12.067       22.782

Thailandia Bangkok              4.448      9.190       21.521

India Bangalore                   3.546      8.982       18.441

India New Delhi                   3.557      9.017       22.982

Fonte: Jetro 2010

Settore ospedaliero. Il segmento sanitario è di buon livello, orientato a servire pazienti stranieri provenienti da Asia, Stati Uniti, Paesi del Golfo. Si basa su alcuni centri di eccellenza e su un collegamento organico (formazione e ricerca) con università e ospedali statunitensi ed europei (Francia, Svizzera, Germania).

Turismo. Con oltre 3,5 milioni di visitatori all’anno, le Filippine sono una meta turistica che può fare appello all’immenso bacino asiatico oltre che al tradizionale pubblico occidentale. È bastata la liberalizzazione dei collegamenti aerei interni per rilanciare l’intero settore, ma restano altre tappe da completare: prima tra tutte la modernizzazione delle strutture e dell’offerta ricettiva in cui c’è ampio spazio per la costruzione e gestione di piccoli hotel e resort di alto livello con la possibilità di accedere a forti agevolazioni fiscali.

Energia. La crescita economica impone un forte potenziamento della rete elettrica del Paese (produzione e trasporto), ormai quasi interamente privatizzata. Il Governo di Manila punta anche su un forte sviluppo delle energie rinnovabili con tariffe incentivanti che vanno dai 16 centesimi di dollaro per kWH per le biomasse a 24 centesimi per l’eolico a 41 centesimi per il solare. Nel settore stanno investendo numerosi operatori statunitensi, olandesi, tedeschi e canadesi.

Estrazione mineraria. Il Paese dispone di ingenti giacimenti di oro, rame, ferro, nickel e altri metalli con riserve identificate ed estraibili valutate in in oltre 1.400 miliardi di dollari. Nel settore sono avviati o in fase di lancio investimenti per circa 7 miliardi di dollari.

Le Filippine sono in assoluto la location più competitiva in Asia per la localizzazione di uffici e l’affitto di spazi commerciali. Si collocano al secondo posto dopo il Vietnam per il costo dei capannoni industriali.

GiorniDiTremore

In questi giorni si guarda spesso la NHK, canale televisivo giapponese. L’occasione non è delle migliori. Terremoto, tsunami e l’esplosione nella centrale nucleare di Fukushima, cosa che ci interessa da vicino (anche se non abbiamo centrali nucleari) dovendo condividere con il Giappone e altri paesi dell’Oceano Pacifico il ‘circolo del fuoco’. Fuori tema una conseguenza a dir poco sconsiderata sono gli apocalittici SMS che arrivano sui nostri telefonini: dicono che la nube radioattiva sta raggiungendo le Filippine (non e’ vero) e che Dio sta castigando l’umanità peccatrice con cataclismi naturali. Le vittime reali purtroppo sono sempre tante e il dolore di chi sopravvive è indescrivibile. Consola solo il fatto che ogni tragedia si lascia in qualche modo maneggiare quando nella società colpita sono diffusi i valori di fratellanza e solidarietà. Riguardo a Dio che si vendica usando la stessa natura contro il mondo perché pecca-contro-natura forse è un po’ troppo (il messaggio in questione citava l’aborto e la proposta di legge filippina sul controllo delle nascite o RH). E poi la vendetta sarebbe essa stessa contro-natura: invece di liberare l’uomo da un problema, lo demolirebbe del tutto. In ogni caso cose che ci spingono a una riflessione sulla ‘natura’ . Quando questa non si fa notare la pensiamo sempre come un rimanente romantico, esotico del passato e invece non è così: l’unico modo in cui il ‘fuoco’ ha modo di riposarsi è di muoversi, dicevano gli antichi. Sappiamo oggi che il rapporto uomo-natura è sbilanciato per il forte sviluppo tecnologico che potrebbe ritorcersi come zappa sul piede. Anche se la materia inerte dalla natura è stata imprigionata e stimolata a ‘riposarsi’ in centrali nucleari, cercherà sempre di scappare e assestarsi su parametri imprevedibili, per esempio come scoppio radioattivo, ma anche come semplice ingorgo ad un incrocio stradale provocato da un blackout. Terremoti, alluvioni, cambiamenti climatici, desertificazioni, effetti radioattivi, anche se ben documentati, rimangono difficili da prevedere. Così come a livello microscopico e invisibile non si sa se quello che mangiamo può diffondere malattie ad altri o se l’uso sempre più intenso delle onde radio in telefonia avrà ripercussioni sui cervelli delle prossime generazioni. In ogni caso ci sarà sempre una natura che si ribellerà inaspettatamente e un’altra che ci sarà più amica e familiare. Se è importante capire scientificamente la prima, non si vede perché nel nostro lato, la seconda, non si possa concepire una tecnologia più leggera, flessibile e resistente (e meno megastrutture autoritarie tipo le centrali nucleari e i grattacieli) capace di farsi dimora e di aiutarci a rimanere a galla anche nel più imprevedibile degli tsunami. Probabilmente simile alla plastica biodegradabile o forse la riscoperta intelligente dello Spirito creativo primordiale che fin da principio aleggiava sulle acque. Saremo comunque e sempre esseri fragili aggrappati al versante della vita, incapaci di dare una risposta soddisfaciente di fronte a distruzioni tanto radicali come quelle di questi giorni di tremore.