E’ morto Manuel Bantulo uno dei testimoni nel processo agli assassini di padre Tullio Favali ucciso 11 aprile 1985. Aveva 67 anni e padre di sei figli. Allora abitava proprio all’incrocio del famigerato km 125, La Esperanza, Tulunan. Poi si era rifatto la casa un centinaio di metri più distante dall’incrocio, verso la vicina risaia e i canali di irrigazione. Su una parete della casa, non troppo distante da una bombola d’ossigeno, il quadro con il dipinto dell’uccisione di Tullio. Al funerale molti lo hanno ricordato come un bravo padre e lavoratore. Noi lo ricordiamo quasi come un eroe.
Il caso Favali fu risolto con il contributo di Manuel e diversi altri testimoni. Testimoni del delitto si sono posti la domanda: Stare zitti o parlare? Erano tempi difficili. Perdurava la Legge Marziale e non si avvertiva ancora il vento democratico che poi soffiò in tutto il paese nel febbraio 1986. Per Manuel non è stato semplice decidere. In molti altri casi di gente ammazzata i testimoni non si fecero mai avanti. La paura crea sempre un muro di silenzio: se io vedo uno che viene ammazzato per strada non lo dico perché questo può ritorcersi contro me e la mia famiglia.
Manuel decise invece di testimoniare e per un lungo periodo di tempo dovette abitare in un luogo protetto.
Bisogna dire che un po’ di coraggio lo trovò anche nella grande scelta di fondo fatta dalla diocesi di Kidapawan con il suo promuovere una cultura della legalità tra le comunità di base. La Diocesi poi gestì la cosa in un modo intelligente perché anche di fronte a un governo che faceva la faccia feroce non contestò mai l’operato della giustizia (noi diremmo magistratura) e i rapporti di polizia furono rispettati. Viceversa non si sarebbe arrivato a nessuna conclusione.
In fondo a nessuno viene chiesto di essere un eroe, tuttavia o si crede nella possibilità del cambiamento e quindi ci si impegna ognuno secondo la sua parte, oppure bisogna rassegnarsi a vivere in malo modo. Questa è la sfida da raccogliere che Manuel ci lascia in eredità.