Nicola Mapelli
Passo a fatica l’ultimo tratto fangoso, e davanti a me s’apre lo spettacolo della baia di Sibuco. L’ho vista tante volte, dall’alto di queste montagna, ma e’ sempre bella. E’ il 7 Settembre; e’ passato un anno esatto dal rapimento di Luciano. Mentre andavo in moto pensavo, cinicamente, all’ironia del mio essere `assistant parish priest’ in una `parish’ che non esiste, perche’ Sibuco e’ ancora mission station, e di un `priest’ che non c’e’, perche’ e’ in Italia a mangiare pizza e mozzarelle. Rimane solo quell’ `assistant’, che Sibuoc ha visto, nell’anno appena terminato, solo a rate quindicinali, un po’ come certi periodici di buona stampa cattolica. Potrei abbandonarmi, con tutto questo non essere, ad una riflessione esistenziale, ma non lo faccio. Un colpo d’acceleratorte, e riparto.
Questo e’ il terzo viaggio significativo che, nell’arco di un anno, ho fatto a Sibuco. Mi ricordo il primo, l’8 Settembre 1998, quando da Malayal, nell’incertezza delle voci che circolavano sul sequestro, decisi di prendere il pump-boat e di andare a Sibuco per verificarle. A costo di sembrare melodrammatico, rammento che il cielo era scuro di tempesta, e decine e decine di pipistrelli volavano nel cielo vicino alle scogliere, accompagnando per un lungo tratto il mio pump-boat e quello dei soldati che mi scortavano. Poi, arrivato a Sibuco, gli sguardi silenziosi dei musulmani e la conferma del sequestro.
Il secondo viaggio fu su di un pump-boat commerciale, per la festa di sibuco nel Marzo di quest’anno. Pioveva e l’acqua, nonostante il telone, entrava nella barca. Fianco a me una giovane donna musulmana cercava di proteggere il suo neonato; io, con un gesto alla Sebastiano, le diedi il mio impermeabile per difendersi dalla pioggia. Non ricordo se mi abbia ringraziato. Di certo, un sorriso non me l’avra’ negato. Entrando nella baia di Sibuco, mi veniva in mente la scena dello sbarco nel film The Thin Red Line, che avevo visto col Giulio alcuni giorni prima. Non spingo il parallelo oltre, perche’ altrimenti diventerei davvero melodrammatico.
Oggi, dicevo, e’ il terzo viaggio significativo. Dopotutto, e’ l’anniversario. Arrivo a Sibuco pieno di fango. Metto la moto vicino al pozzo, la lavero’ piu’ tardi. Intanto alzo lo sguardo e vedo il filo dell’antenna che si muove liberamente al vento. Quest’antenna e’, nella mia mente, il ricordo piu’ visibile di Luciano. Entro in casa, e nell’ufficio parrocchiale c’e’ ancora, sulla scrivania, il suo Commodore 64; e’ un po’ come certe reliquie di santi, non si spostano senza una vera ragione; poi ci sono un paio di occhiali da vista mezzi rotti ed un libro di fantascienza comprato di quarta mano al Golden Bell. Non penso costasse piu’ di dieci cents. Un giorno gli feci notare che mancavano le prime venti pagine. `E’ piu’ bello, perche’ cosi’ si puo’ immaginare l’inizio’, mi rispose. Quella risposta mi e’ rimasta impressa. Di solito una cerca di immaginarsi la fine. No. Lui l’inizio. Penso che questo la dica lunga sulla sua persona. Ed allora non mi dilungo, ognuno rifletta per conto suo.
Lasciatemi pero’ dire, a mo’ di conclusione, che il nome di Luciano e’ ancora sulle labbra della gente. Lo si sussurra fra i campi di riso, agli incroci delle strade, e fra le donne che lavano la biancheria al fiume; e, piano piano la sera, ai bambini prima di addormentarsi, le mamme raccontano di quel prete con la barba bianca a cui piaceva tanto camminare. Un po’ lo spirito buono che ci protegge dalla `Wakwak’, Benedetti e’ ormai assunto nell’olimpo delle figure mitiche e sceso nel cuore della gente. Ora pro nobis, che noi preghiamo per te.
Certo abbiamo celebrato una messa, nel fatidico giorno di Settembre, per lui e per tutta la missione di Sibuco che, grazie al buon Dio ed all’impegno di tanti generosi cristiani, e’ passata attraverso questa prova; non indenne e senza ferite ma, perlomeno, cresciuta. E, se Dio lo vorra’, continuera’ a crescere negli anni a venire