(Lo scorso Ottobre 11 la comunita’ Locale di Manila (padri Brioschi, Mariani, Re, D’Ambra. Fossati, Livio Prete) si e’ riunita al Seminario di Tagaytay per la mensile giornata insieme. In genere la comunita’ raccolta, prima di entrare nei `business’ ha un momento di riflessione e preghiera.
Le pagine che vengono ora offerte sono la meditazione di padre Fossati alla stessa Comunita’ Locale. Mentre si ringrazia il padre Sergio per il dono fatto attraverso la sua meditazione, prendiamo spunto per incoraggiare ogni CL a seguire il modello di lavoro proposto)
LO SPIRITO E L’UOMO: il frutto dell’azione dello Spirito: 1’uomo spirituale
“Dalla vita distingui 1’uomo che ha lo Spirito di Dio. Innanzitutto chi ha dall’alto lo Spirito e’ calmo, sereno, umile, lontano da ogni malvagità’ e desiderio vano di questo secolo. Egli considera se stesso inferiore a tutti gli uomini……… (Pastore d’Erma, Precetto 11,93,8-13; Prima meta’ del secondo secolo).
Il cristiano e’ chiamato ad essere una persona che vive e opera nello Spirito: un uomo “spirituale”, usando un linguaggio non inclusivo, che e’ poi quello biblico. “Pneumatikos”, a partire da S.Paolo, e’ diventato il termine tecnico per indicare 1’esistenza cristiana vissuta nella sua pienezza e autenticità’. Tutti i cristiani mediante la fede e ii battesimo hanno ricevuto lo Spirito. Lo Spirito e’ in ognuno di noi, nel nostro spirito, nel nostro stesso corpo fino a trasformarci in suo tempio. Tutti i cristiani sono quindi “uomini spirituali” in quanto vivono nello Spirito e dello Spirito (RmS,9).
Ma spesso la vita nello Spirito rimane allo stato larvale. C’e’ come qualcosa che impedisce allo Spirito di prendere interamente possesso del nostro corpo, della nostra mente, del nostro cuore e cosi’ sprigionare tutta la sua energia e pienezza di vita. L’esistenza cristiana rimane come bloccata, atrofizzata, senza poter sbocciare in pienezza e attuare le sue potenzialita’. Il fatto e’ che si e’ tentati di resistere alla voce dello Spirito e alla sua guida, di seguire i nostri desideri piuttosto che i suoi, il nostro volere piuttosto che il suo, fino a contristarlo (Ef 4,3), fino ad arrivare ad estinguere la sua presenza in noi (1 Ts 5,19). La tensione tra carne e spirito e’ dentro ogni battezzato: egli e’ gia’ figlio di Dio e ha lo Spirito Santo, ma purtroppo persiste la possibilita’ di ritornare alla vecchia condizione di schiavitu’ e soffocare le opere dello Spirito.
L’uomo veramente spirituale e cristianamente maturo e’ colui che, rotto ogni indugio, si e’ finalmente aperto incondizionatamente all’azione dello Spirito e si lascia guidare da lui, in piena docilita’, nell’avventura evangelica. I mistici, al riguardo, hanno usato un’immagine suggestiva: 1’uomo che pianifica il proprio cammino spirituale e’ simile ad un navigatore che spinge la sua barca a forza di remi, mentre 1’uomo spirituale tira i remi in barca, spiega la vela, e si lascia condurre dal vento dello Spirito. Per questo egli e’ calmo, sereno! Lasciarsi guidare dallo Spirito non e’ debolezza, ma coraggio. Il coraggio di fidarsi di Dio, di credere che le sue vie non sono le nostre vie, il coraggio di abbandonarsi all’avventura sempre nuova c imprevedibile della sequela di Cristo. Il coraggio di credere al Vangelo. Il coraggio della radicale conversione. I1 coraggio di mettere tutta la vita nelle mani di Dio. L’uomo spirituale non e’ un “superman”: e’ ben consapevole della propria fragilita’ e piccolezza, ma come Maria, come i pescatori di Nazareth, come Paolo stesso egli sperimenta che nella propria debolezza agisce la potenza di Dio.
Potremmo dire, in definitiva, che 1’uomo spirituale e’ colui che accoglie i doni dello Spirito, gode dei suoi frutti e vive nello spirito delle beatitudini. [Punto di partenza per il suo viaggio spirituale sono le virtu’ teologali (fede, speranza, carità), le virtu’ cardinali (fortezza, giustizia, prudenza e temperanza), e i doni dello Spirito (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pieta’, timor di Dio),. punto di arrivo i frutti dello Spirito e le 8 beatitudini.]
Sperimentando in se stesso la guida dello Spirito, riconosciuta la Sua presenza attraverso i “frutti” della Sua azione, 1’uomo spirituale diventa a sua volta capace di guidare i fratelli: nasce in lui quella paternita’ e maternita’ spirituale che gli permette di consigliare, aiutare, iniziare alla vita nello Spirito.
La lettura che vi propongo oggi riguarda il tema anticipato poc’anzi dal Pastore d’Erma, cioe’ come distinguere 1’uomo spirituale, o meglio come capire se stiamo camminando secondo lo Spirito, con lo Spirito, oppure no. I1 testo sul quale ci fermeremo e’ dalia lettera ai Galati 5, 22.
“22 Il frutto dello Spirito invece e’ amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bonta’, fedelta’, mitezza, dominio di se'”
E’ un breve sommario sul frutto dello Spirito, che si contrappone al sommario precedente il quale elenca le opera della carne: vengono enumerati 9 frutti. Ma senza pretesa di completezza: infatti lo stesso Paolo ne aggiungera’ altri, in altre lettere. Come dice S.Tommaso, “Se ne sarebbero potuti enumerare di piu’, o anche di meno”. Nonostante questo brano sia noto come “i frutti” dello Spirito, in realta’ leggiamo solo il singolare: “Il frutto” (Xapnbg). Paolo menziona per primo 1’amore/carita’, quale il frutto per antonomasia per dire che gli altri otto frutti hanno la loro fonte e sono manifestazioni delta stessa agape, atteggiamenti fondamentali ed esistenziali frutto della presenza libera dello Spirito in un uomo che liberamente, integralmente e costantemente aderisce ai desideri dello Spirito. C’e’ una strettissima parentela di lessico con 1’inno alla carita di 1 Cor 13, dove sono elencati appunto gli attributi dell’agape, della carita.
Vediamo almeno qualcuno dei “frutti” dello Spirito: sono cosciente che le cose che dico valgono innanzitutto per me!
Amore : 1’uomo che vive nello Spirito e’ 1’uomo della carita’, animato costantemente e solo dall’amore. Non e’ mosso da altre motivazioni. Lo Spirito, venendo in lui, gli ha portato in dono 1’amore, anzi lui stesso e’ I’Amore di Dio donato e riversato nel cuore dell’uomo, che perrmtte a questi di amare a sua volta.
Nella “Pastores dabo Vobis”, 1’idea-forza che pervade tutta 1’esortazione e’ appunto la carita’ pastorale, definita come “il principio interiore, la virtu’ che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore” (PDV # 23). E’ il modo di amare di Gesu’, 1’amore oblativo, il dono totale di se’, gratuito, senza calcoli, disinteressato, universale: e’ questo amore che il sacerdote deve ripresentare. Ci si aspetta che il sacerdote – che e'” sacerdote e non semplicemente che “fa” il sacerdote – ami il gregge a lui affidato: e’ il suo ministero, il suo servizio. Allora sapra’ stare con i poveri come con i ricchi, con gli anziani come coi giovani, con coloro che gioiscono come con quelli che piangono, con i parrocchiani attivi come con quelli che non si fanno mai vedere, con i cristiani come pure con i non-cristiani presenti nella sua parrocchia (anch’essi sono parte del suo gregge!). Il sacerdote sa che il linguaggio della carita’ e’ universale, ed e’ 1’unico che e’ capito sempre e da tutti: Gesu’ stesso non ha mai fatto distinzioni o privilegi ma ha sempre trattato tutti con estrema delicatezza e attenzione. E’ in fin dei conti il linguaggio del vero dialogo inter religioso.
Gioia: e’ la partecipazione alla gioia di Dio aperta ad ogni uomo, quella gioia che c’e’ nei cieli per un peccatore convertito (Lc 15,7); la gioia delle beatitudini (rallegratevi..esultate..). Gioia che ha un senso, che e’ profonda: non c’e’ nulla di piu’ scostante per la gente di un prete senza gioia (un prete triste un triste prete!), un prete che non sia una presenza “rinfrescante” nella vita della gente e che sappia comunicare discretamente ma eloquentemente quella gioia profonda che lo pervade, nonostante tutte le occupazioni e preoccupazioni dell’attivita’ pastorale. Sappia mostrare la gioia del celibato accolto per il Regno, gioia di un uomo chiamato alla liberta’ di amare tutti con cuore grande, indiviso, uomini e donne! Altrimenti la gente, al vedere un prete triste e stanco, lo compatisce arrivando anche a pensare “poverino, se i preti potessero sposarsi avrebbero almeno una moglie e una famiglia che li consoli!”: ma sappiamo che non e’ questo il punto! La gente capisca che quando il sacerdote celebra I’Eucaristia e i Sacramenti, non lo fa perche’ e’ costretto a farlo, da impiegato d’ufficio, ma lo fa con la passione, con la gioia e la delicatezza di chi sa di avere tra le sue mani quella perla preziosa, per la quale ha giocato la propria vita.
Pazienza: non e’ solo la pazienza nelle prove della vita. E’ il cuore di Dio “tardo all’ira e grande nell’amore (Sal 102) che riecheggia nel cuore del sacerdote. E’ la pazienza di Dio che attende che il seme cresca alla luce e al calore del suo Spirito. Non piace il prete telematico e multiprogrammato, il prete che naviga nella vita delta parrocchia come se stesse navigando su Intemet: un “click” e tutto e’ a disposizione, immediatamente; un’altro “click” e il quadro e’ cambiato. Salta da un sito all’altro, da un’attivita’ all’altra senza pausa. Non e’ mosso dallo Spirito ma dalla sua agitazione personate. I1 prete uomo dello Spirito considera primarie nel suo ministero, e percio’ si prende ampio tempo per 1’accompagnamento spirituale e la confessione, attivita’ che fa con calma: anzi, nel confessionale coglie spesso motivo per essere edificato dalla fede e dall’umilta’ del penitente, e pensa che se egli si fosse trovato in circostanze simili, sarebbe forse stato un peccatore piu’ grande. La gente non si accosta a un prete che non ha tempo per ascoltare e non ha pazienza: va a cercarne un ‘altro.
Mitezza: e’ il comportamento mite, cioe’ non collerico e litigioso ma dolce e pacifico verso il prossimo. Gesu’ ha praticato la mitezza, egli che era “mite c umile di cuore” (Mt 1 1,29), come 1’agnello condotto al macello, che non apriva bocca (Is 42.53); anzi, ne ha fatto una beatitudine (Mt 5,5). Secondo S.Paolo lo spirito di dolcezza e’ una virtu’ caratteristica degli uomini “pneumatici” (Gal 6,1). A volte il sacerdote, se non e’ vigile ed attento, rischia di essere travolto da un altro spirito, quello del protagonismo: e’ vero che oggi la situazione e’ cambiata rispetto a diversi anni fa in cui 1’essere sacerdote era pur sempre una elevazione sociale, ma questo rischio permane anche se su scala ridotia, ad esempio la parrocchia o la diocesi. A Roma, il rischio e’ ancora piu’ forte: si assiste ad una vera e propria corsa al grado accademico in tutte le universita’ pontificie! Se 1’approfondimento della propria cultura teologica non e’ motivato dal desiderio di servire meglio la pastorale nella propria diocesi, allora e’ proprio solo una corsa al pezzo di carta. Non piace il prete che si sente investito di potere e non ricorda che il Signore si e’ fatto servo di tutti, obbediente fino alla morte, e alla morte di croce; non piace il prete che ricorda le offese, che giudica frettolosamente chi gli e’ contrario, che porta rancore (..odio pretale!); non piace il prete che impone e non propone; non piace il prete che non ama il suo posto, che non si sente contento del suo posto, che non e’ mai al suo posto; non piace ii prete insofferente che soffre di non essere capito e sufficientemente valorizzato dal Vescovo e dai confratelli. Il sacerdote – uomo – spirituale ama intensamente il luogo dove svolge ii suo servizio pastorale, ma si considera sempre an servo inutile disposto a fare la volonta’ del proprio Vescovo o Superiore senza suscitare clamore qualora venisse trasferito: questo e’ anche segno di grande liberta’, che e’ allo stesso ternpo dono dello Spirito condizione per accoglierlo in pienezza.