Il quinto Discorso sullo Stato della Nazione, del Presidente Rodrigo Duterte doveva per forza allontanare l’opinione pubblica dalla pandemia di COVID-19 e da come è stata gestita dal governo in questi ultimi mesi. Nel suo discorso di un’ora e 40 minuti, Duterte ha menzionato solo brevemente cosa sta facendo per frenare la diffusione del virus COVID-19. Ha parlato invece ricerca del vaccino che secondo le sue informazioni sarebbe dietro l’angolo (The vaccine is around the corner). Le Filippine hanno già superato gli 85.000 contagi da COVID-19 con un alto numero di casi ancora attivi, 56.000 circa.
Nel suo discorso Duterte ha preso di mira il senatore Franklin Drilon,(You [Drilon] do not protect the oligarchs here. You are the one. Ikaw lang mag-isa). che recentemente ha proposto lo smantellamento dell’oligarchia politica nelle Filippine (ma sino ad ora nessuna legge è stata promossa per l’abolizione della ‘dinastia politica’) e difeso la libertà di stampa, riferendosi forse alla chiusura del canale televisivo ABS-CBS. Oramai la simpatia di Duterte è per alcune delle famiglie più ricche del paese, definiti “ricchi amici” che perennemente si accaparrano i posti di governo più importanti del paese, come la famiglia Marcos, per esempio.
E’rimasto abbastanza vago circa il dispiegamento di militari per una ipotetica soft contro insurrezione in tutto il paese (We need to provide interventions and implement the Barangay Development Program. This would provide cleared and threatened communities and… This refers to a program where the Armed Forces would play a vital role in the one-nation approach). Una campagna di militarizzazione che sarà diversa da quella instaurata durante la guerra alla droga, ma che lascerà maggior libertà ai militari e alla polizia di perseguire un maggior numero di arresti nelle aree considerate anti-governative.
Duterte ha poi detto che non desidera eludere i suoi obblighi in materia di diritti umani, (Rest assured that we will not dodge our obligation to fight for human rights.) ma ha taciuto sul perché abbia rinunciato allo Statuto di Roma e abbia sfidato gli esperti delle Nazioni Unite a visitare il paese e parlare direttamente con le vittime di abusi. È ironico anche, in questo senso, la reintroduzione della pena di morte per iniezione letale in reati connessi alla droga, una pena capitale fortemente scoraggiata delle Nazioni Unite e dagli organismi per i diritti umani. Duterte ha inoltre affermato che non sono stati documentati abusi durante l’imposizione della legge marziale a Mindanao e in seguito all’assedio di Marawi (Martial law in Mindanao ended without abuses by the civilian sector, by the police, by the military. It ended because this time I know that they know how to love the country). Tuttavia fonti critiche al governo affermano che vi sono state circa 800.000 violazioni dei diritti umani, tra cui 93 uccisioni extragiudiziali.
Nel suo discorso, Duterte ha affermato che le Filippine non possono permettersi di andare in guerra contro la Cina in caso di conflitto nelle isole delle Filippine occidentali, con una sua nota affermazione che ammettere ciò che è di diritto non vuol dire fare guerra a chi non lo rispetta (Unless we are prepared to go to war, I would suggest that we better just call off and treat this, I said, with diplomatic endeavors). In altre parole, diventa un sostenitore della non violenza quando si tratta di affrontare la Cina che domina le acque territoriali filippine. In realtà i pescatori filippini non vogliono la guerra ma solo vedere una volontà politica che appoggi le loro richieste, senza lasciarli allo sbaraglio dei, tecnologicamente più avanzati, pescarecci cinesi. Del resto in questi tempi di COVID meglio accativarsi la simpatia della Cina: “I made a plea to President Xi Jinping that if they have the vaccine, can they allow us to be one of the first or if is needed, if we have to buy it, that we will be granted credit so that we can normalize as fast as possible”