Cari Amici:
La Pace di Dio sia la certezza per il Nuovo Anno!
Dato che iniziamo un nuovo anno e dato che molte sono le attese che lo accompagnano, mi permetto di sottoporre alcune riflessioni pensando che possano diventare linee guida per le scelte che dobbiamo fare nei prosimi mesi.
Teniamo presente che il 2003 segna il 35esimo anno di presenza del PIME nelle Filippine, che durante l’ Assemblea Regionale PIME Phil. 2003 sono da eleggere il Superiore Regionale con il suo Consiglio per il prossimo quadriennio, che il Consiglio Plenario PIME sara’ tenuto a Tagaytay dal 25 Maggio al 6 Giugno, che verranno ordinati preti i giovani che hanno iniziato la teologia in Tagaytay (Gianluca, Raja, Ravi) nel lontano 1999.
Di fronte a questi eventi mi pare utile sottoporre alcune riflessioni che ci aiutino a crescere come individui e come comunita’.
A tal proposito dobbiamo ricordare che sono due i poli che “tirano” la comunita’: da una parte la sua realta’ ideale-teologica e dall’altra la concretezza delle persone che la compongono, con tutti i limiti di ognuno.
La difficolta’ del convivere e della qualita’ della nostra comunita’, deriva spesso dalla difficolta’ di raccordare bene questi due aspetti.
Prima di tutto occorre riconoscere l’aspetto teologale della comunita’ e cioe’ avere la convinzione che la comunione ci e’ gia’ data: essa consiste non nella nostra capacita’ di volerci bene, ma nell’amore del Padre che ci e’ donato e nel quale siamo inseriti e coinvolti.
Il nostro amore per i nostri fratelli e’ la continuazione dell’amore del Padre che ci e’ dato; il nostro sforzo sara’ sempre inferiore alla profondita’ del dono fattoci e che ci lega obiettivamente tra di noi prima ancora di ogni nostro riconoscimento.
Da qui scaturisce l’ obbligo di servire la cornunita’ e di amarla incondizionatamente.
Percio’ non si puo’ accusare la comunita’. Che gli altri non siano all’ altezza dell’ideale evangelico, non e’ un motivo sufficiente per non fare tutto il possibile che e’ in noi.
Ma non basta l’impegno di ognuno singolarmente preso: non ci si puo’ preoccupare solo della propria dedizione e coerenza. Stiamo in comunita’ perche’ vogliamo crescere insieme nel nostro servizio missionario comune. Occorre dunque che ognuno faccia la sua parte nel e per il cammino della comunita’ in quanto tale.
Solo la comunita’ che interviene, pone in questione, interpella… diventa educativa.
La comunita’ ‘indifferente’ diventa inefficace nel lavoro, superficiale nella comunione, carente nella testimonianza. Il principio del “tu non disturbare me e io non disturbo te”, potra’ essere comodo o addirittura anche l’unico modus vivendi concretamente raggiungibile in una comunita’ in un dato momento, ma chiaramente esso segna una sconfitta della comunita’ nei confronti della sua chiamata.
Per arrivare ad una comunione piu profonda occorre che ci richiamiamo spesso questa reciproca ” interferenza” tra singolo e comunita’, tanto piu’ che non abbiamo ne’ la tradizione ne’ una mentalita’ o visione comune su questo tema.
L’inizio di un cammino nuovo non potrebbe essere proprio il confronto su questa visione? Occorre pero anche ricordare che non e’ possibile forzare il cuore dell’uomo: aprendo il nostro, possiamo favorire l’apertura di quello dei fratelli.
Cio’ detto e cio’ fatto occorre che stiamo concretamente attenti alle caratteristiche e alla situazione dei nostri fratelli.
Potremmo altrimenti cadere nel pericolo di spingere a tal punto l’ideale (umano, cristiano, pimino) da accettare l’altro solo nella misura in cui egli lo ragglunge.
Sarebbe la pretesa della comunita’ dl perfetti: pretesa, impossibile, irrealizzabile e in fondo anti cristiana. La Chiesa stessa, non e’ la comunita’ dei perfetti: e’ la comunita’ dei perdonati.
Il Vangelo pone l’ideale non nella Verita’, ma nella Carita’.
Senza negare l’una nel momento della affermazione dell’altra, la comunita’ si costruisce nella misura in cui ognuno ama, accoglie l’altro e si sacrifica per lui cosi’ come e’.
In altre parole, vale per la comunita’ cio che e’ vero per la persona e cioe’: amare significa servire senza alcuna pretesa, senza alcuna condizione, ne’ quella della corrispondenza (anche se sarebbe bello, se…), ne’ quella della riconoscenza, ne’ quella della accettazione dei “valori comuni normativi”.
La comunita’ religiosa non e’ esemplare perche tutti sono perfetti e danno una bella testimonianza. E’ ottima la comunita’ in cui ci si riconosce peccatori, ci si perdona e insieme si cerca di convertirsi. Ma anche questo e molto raro.
Percio’ lasciamoci guidare dallo Spirito ed abbiamo il coraggio di guardare avanti, vedendo nel compagno di lavoro il fratello che tende la mano perche’ vuole il nostro aiuto o che si siede ad aspettarci perche’ vuole offrire la sua solidarieta’.
Con amicizia,