da Dodici Porte
Riflessioni a casa
30 Sunday Sep 2012
Posted Giancarlo Bossi
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30 Sunday Sep 2012
Posted Giancarlo Bossi
in10:08 pm | Friday, September 28th, 2012
Giancarlo Bossi, the Italian Catholic missionary priest who was abducted in 2007 by a breakaway group of the Moro Islamic Liberation Front, died on Sept. 23 in his order’s infirmary in Milan. He worked for 32 of his 61 years in the mission fields of Mindanao and had wanted to come back and be with “my people.” But his superiors would not allow it. He died without a homecoming.
A member of the papal missionary order Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), Bossi was abducted in Payao, Zamboanga Sibugay, in June 2007, and released a month later. He returned to Italy the following month on his superiors’ orders and had the opportunity to meet with Pope Benedict XVI, who had appealed to his captors to release him.
Other Pime missionaries serving in the Philippines suffered worse ordeals. In October, it will be a year since Fr. Fausto Tentorio, who served indigenous peoples and headed the Tribal Filipinos Apostolate of the Diocese of Kidapawan, was gunned down at the Mother of Perpetual Help church compound in Arakan, North Cotabato. On April 11, 1985, Fr. Tulio Favali, was killed by paramilitary cultists led by Norberto Manero in Tulunan, North Cotabato. Manero, two of his brothers and four other accomplices barged into the San Isidro Labrador Parish, shot Favali 22 times, and stomped on his fallen body. Witnesses said the killers also ate bits of the priest’s brain (an incident fictionalized in the celebrated 1989 movie of Lino Brocka, “Orapronobis,” which was shown in Cannes). Perhaps because the crime was seared into the public consciousness, there arose a momentum for the killers to be brought to justice. Manero was convicted and spent almost 23 years in prison until his release in 2008.
But other than the Favali case, nothing has emerged from the other cases of abductions and murders. Seven years after Favali’s death, another Italian Pime priest, Salvatore Carzedda, was killed in an ambush by an unknown assailant in Zamboanga City.
Because no one was being brought to justice, a culture of impunity soon flourished and resulted in more kidnappings, perhaps with ransom economics impelling their commission. Yet another Italian Pime missionary, Luciano Benedetti, was kidnapped from a farm near his parish in Sibuco, Zamboanga del Norte, in 1998. He was freed two months later, reportedly after a P7-million ransom was paid.
Another Italian priest, Guiseppe Pierantoni of the Priests of the Sacred Heart, was kidnapped in Dimataling, Zamboanga del Sur, in 2001. At least six other foreign priests from different countries, especially Columban missionaries from Ireland and Claretian priests from Spain, have fallen victim to armed groups in Mindanao since 1993.
It is easy, especially for Catholics, to romanticize Fathers Bossi, Tentorio, Favali and other beloved victims of the violence in the South as martyrs who tilled the mission fields with their blood and suffering. But even lay people and evangelical Protestant missionaries, like Martin and Gracia Burnham, have been kidnapped and, in the case of Martin, killed. All of this must end. National and local leaders, the police and the military must do their job.
The government must remember that the missionaries bring with them the glad tidings not only of the Gospel but also of development. The missionary orders—Pime, the Oblates of Mary Immaculate, the Columbans and Claretians—bring to the South their congregations’ resources to build churches and mission houses (a boost to infrastructure and job-generation), as well as set up schools, cooperatives, livelihood programs, and medical missions. Bossi himself set up schools where Christians and Muslims are enrolled. He also established cooperatives to provide microfinance to and generate livelihood among the poor.
In nearly all of the Catholic mission churches in Mindanao, there’s a parish or a mission school, a cooperative, and a medical clinic. In addition, the local bishop is a member of the regional disaster council and/or the regional development council. Most of the time, the bishop relies on foreign missionary orders to extend his pastoral solicitude to the remote hinterlands. In short, the Church and her missionaries are agents of peace and development.
It is quite sad that Father Bossi was unable to make it back “home” before he died. His passing leaves in its wake the shining example of a Christian who sought to build bridges of dialogue and development in a territory riven by conflict. The government does injustice to his memory by being blasé about crime and violence in the South.
30 Sunday Sep 2012
Posted Giancarlo Bossi
inUn migliaio di persone e oltre 60 sacerdoti hanno dato l’ultimo saluto alla salma di p. Giancarlo Bossi. La cerimonia si è svolta all’aperto, dato che la chiesa era troppo piccola per contenere la folla. Messaggio del card. Angelo Scola. P. Giancarlo Politi, che ha pronunciato l’omelia è stato amico di p. Bossi per circa 40 anni.
Milano (AsiaNews) – Alla presenza di un migliaio di fedeli e oltre 60 sacerdoti, si sono svolti ieri (25 settembre) a Castelletto di Abbiategrasso, i funerali di p. Giancarlo Bossi, il missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, divenuto noto in Italia e nel mondo dopo il suo sequestro di 40 giorni ad opera di alcuni militanti islamici a Mindanao (Filippine), nel 2007. Poiché la chiesa era troppo piccola per raccogliere tutti i partecipanti, le esequie si sono svolte all’aperto.
Dopo il rapimento, p. Bossi ha passato un breve periodo in Italia. Tornato nelle Filippine, dove aveva già speso circa 30 anni della sua vita di missionario, è dovuto ritornare in Italia nel 2010 per farsi curare un tumore ai polmoni. È morto nella notte di domenica 23 settembre all’età di 62 anni.
Il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha inviato un messaggio letto durante il funerale in cui esprime la sua vicinanza ai familiari del sacerdote, a tutti i membri del Pime, alla comunità di Abbiategrasso e a tutti gli amici. In esso, egli ricorda p. Bossi come la “testimonianza di un uomo di fede, forte e lieto, generoso e libero, missionario del Vangelo e operatore instancabile di prossimità servizievole”. Alludendo poi alla testimonianza che dopo la liberazione, p. Giancarlo aveva dato ai 300mila giovani radunati a Loreto, il card. Scola dice che questo “gli ha dato l’occasione di dire parole provocatorie per risvegliare comunità cristiane un po’ assopite, per incoraggiare cammini vocazionali troppo timidi, per dire ai giovani una parola amica, capace di rimprovero e insieme di promessa. Anche nel lungo travaglio della malattia è stato testimone di un cuore grande e di un desiderio di Dio e di preghiera”. Durante il funerale, è stata letta anche una testimonianza su p. Bossi da parte del suo confratello p. Fernando Milani, suo compagno di missione. Alla messa vi erano anche vari gruppi di filippini, con il cappellano della loro comunità. La cerimonia è stata presieduta dal vicario generale del Pime, p. Livio Maggi. L’omelia è stata tenuta da p. Giancarlo Politi, amico di p. Bossi da circa 40 anni. Ecco le sue parole:
La “Passione” del Signore ha condotto i nostri brevi passi – la nostra preghiera – con la quale vogliamo dire l’addio a padre Giancarlo Bossi. Un addio che si snoda e si accompagna a ciò che al Signore stesso è accaduto. La lunga esperienza di fede della Chiesa credente ha da sempre voluto leggere la nostra vita attraverso la vicenda di Gesù. Difatti, ciò che stiamo compiendo ha senso soprattutto per una ragione: noi riconosciamo nella vita di Giancarlo l’azione e lo stile di Dio. Lasciamo allora che la Parola ci parli, per poterne custodire la memoria. Anche la memoria di Giancarlo, quasi incollata alla parola di Gesù.
La morte sembra impadronirsi di tutto l’uomo di cui si impossessa, con il suo silenzi definitivo sulle vicende umane, sugli affetti e su ogni tipo di relazione. La sua risata cordiale non risuonerà più tra noi. Ma continuerà a manifestarsi attraverso la Parola di Gesù, divenuta l’interprete autentico di ciò che l’uomo è. Soltanto la parola del Maestro sa descriverci chi siamo e come siamo.
Giancarlo si è consegnato alla vita, in un incessante sforzo di darle un senso attraverso una semplicità disarmante. Coltivava nel cuore il desiderio assillante di appartenere tutto a Dio, anche quando sembrava non trovar parole per esprimerlo. La voglia di vivere con intensità spiega l’altro desiderio, altrettanto intenso, di consegnarsi al servizio agli uomini, ai suoi compagni di viaggio: con gioia, senza artifici, senza rumore.
Una cosa sapeva bene. Che la vita non è e non può essere soltanto un’avventura solitaria, ma al contrario essa è sempre la nostra risposta personalissima a Colui che ci ha voluti vivi. È stato certamente un uomo piacevolmente semplice, capace di godere la bellezza del vivere, e tuttavia assolutamente incapace di tollerare ingiustizie, violenze, sotterfugi di qualsiasi genere fossero o da qualunque parte provenissero. La risposta a Dio – ne era convinto – non poteva passare attraverso l’assenza di rispetto per la persona dell’altro. Il suo custodito e frequente silenzio nelle discussioni che potevano sembrare accademiche era decisamente quando parola ed azione minacciavano di dar vita a soprusi. Allora parlava, o se ne andava.
La risposta a Dio, al Dio vivente, è stata la ragione unica del suo partire e lavorare nelle Filippine, dove era giunto nel 1980. Anche in quest’ultima settimana – pur sapendo che il tempo per lui si stava facendo corto – faceva calcoli per tornare alla terra che è stata “sua casa” per quasi tre decenni. Si sentiva povero di tutto, ma ricco di voglia di condividere, di fare del bene, di essere contento di ciò che era e di ciò che aveva.
La vita con la gente, nella Filippine, gli fece apprendere una grande lezione: la gioia di vivere non era né poteva essere il risultato di uno sforzo soltanto suo. Essa scaturiva invece dal suo abbandono nelle mani di Dio, dal suo “sé” incondizionato a Lui – a Dio -, permettendogli di gestire la sua propria vita. Questa è stata la fatica più grande, come lo è per noi. Giancarlo sapeva che tutto si riconduceva in definitiva ad imparare quel “sì” – disarmato e quotidiano.
Ci pensa poi Dio ad agire ed a cambiare i cuori. Ci pensa Dio a chiamare vicino uomini e donne disponibili a mettersi in viaggio per andare ad incontrare le persone che ancora non sanno o non vogliono sapere che Dio ha cura di tutti e di ognuno. Nello stile del Figlio.
Il “grazie” che vorremmo esprimere oggi trova qui le sue radici – perché nella persona di Giancarlo Bossi abbiamo visto “come” agisce Dio.
P. Giancarlo Politi da www.pime.org
28 Friday Sep 2012
Posted Giancarlo Bossi
in“Gusto gid niya mag-uma (He really loved to farm)” — Fr. Peter Geremia, PIMEBy ALEX D. LOPEZ Davao Today
DAVAO CITY, Philippines — “Fr. Bossi was supposed to serve the parish in Arakan in February this year,” said Fr. Peter Geremia, PIME (Pontifical Institute for Foreign Missions), referring to Giancarlo Bossi, his fellow priest in the same congregation who died in Italy on Sunday, September 23, after a year of struggle with lung cancer.
Bossi hit the headlines in 2007 when he was kidnapped by armed men whom authorities branded as renegades of the Moro Islamic Liberation Front in Payao, Zamboanga Sibugay. While in the hands of his captors, Pope Benedict XVI made an appeal and he was finally released after 40 days in captivity.
“When Fr. Fausto Tentorio was killed, Fr. Bossi personally went to his (Fr. Fausto’s) family to console with them,” added Geremia.
Tentorio, a known farmers and indigenous people’s advocate, was brutally murdered in his parish in Arakan town, Cotabato Province in October last year by gunmen believed to have ties with the military. The case remains unsolved.
Geremia said that, after Tentorio’s death, Bossi volunteered to replace the slain priest in Arakan and planned to attend to religious services, serve the parishioners and to develop a farm.
“Gusto gid niya mag-uma (He really loved to farm), ” Geremia recollected.
In fact, before Bossi was kidnapped, he had the opportunity to farm in Zamboanga Sibugay. He would do farming work from Monday to Saturday and attend to masses on Sundays. Geremia recalled that Bossi was dedicated in serving the marginalized sectors of the society, especially the poor farmers and peasants. This was the reason, Geremia said, why Bossi became so attached to farming.
Bossi was supposed to go to his new assignment in Arakan last February. His final medical check-up, however, revealed advanced stages of lung cancer and he was advised to return to Italy.
In the PIME website pimephilippines.wordpress.com an article entitled “Goodbye Boss” posted on September 24 have these words: “What to write about father Giancarlo Bossi now that he has physically left? Giancarlo loved the little ones, the poor, the dispossessed. He could easily approach them and understand them. For them he was able to make great sacrifices, and even risk his life. Probably it was spontaneous for him because he considered himself to be small and poor before the Lord, even if in Italy at the time of the departure for the Philippines someone called him Bud Spencer for his size and high-sounding laugh.”
Giancarlo Bossi was born in Abbiategrasso in Milan on February 19, 1950. In 1973 he entered the PIME seminary and was ordained priest on March 18, 1978.
A year after his ordination, in 1979, he was sent for missionary work in the Philippines and dedicated 32 years of his life in the country. (Alex D.Lopez/davaotoday.com)
28 Friday Sep 2012
Posted PIME-Filippine
inDi pino scaccia | 24 Settembre, 2012
Fra le tante battute che rappresentavano la sua umanità ne ricordo una sul sequestro: “Non ce la facevano proprio a portarmi via. Pensa a quanto sono alto e grosso e a loro che, come tutti i filippini, sono piccoli e mingherlini. Così li ho aiutati… insomma ero io che trascinavo i miei rapitori verso la prigione….” Ma ce ne sarebbero molte altre. Adesso che so che non lo rivedrò più prima dell’appuntamento in cielo mi vengono in mente tutte. Giancarlo (padre Bossi) era così: amava tutti. Almeno metà dei suoi parrocchiani non era di fede cristiana ma la festa per la sua liberazione a Payao è stata la più grande dimostrazione d’amore che ho vissuto. Ma non è il caso di ricordare tutto di questo gigante buono che poteva anche sorprenderti dicendo “Dio mi ha fatto incavolare” con un senso religioso più forte di mille preghiere. Di lui porto dentro tutto, soprattutto un testamento. Questo.
“Sono convinto che ciascuno di noi ha un sogno da realizzare. Ciascuno di noi ha qualche cosa da dire. Non solo con le parole, c’è anche chi si esprime con gesti, chi nel silenzio solidale, chi con un sorriso. L’importante è mantenere vivo il sogno della vita. Bisogna imparare a volare. Ragazzi, fatevi rapire dai vostri ideali”. (padre Giancarlo Bossi)
Oggi mi ha chiamato un cugino di Giancarlo, piangendo. Mi ha chiesto…il permesso di leggere in chiesa, durante i funerali, alcune mie parole dedicate al gigante buono. Non sapeva di emozionarmi e di farmi felice. “Sono quasi geloso – mi ha confidato – di quello che è riuscito a regalarti, storie che noi della famiglia neppure conosciamo”. Non è merito mio, ma di quelle Filippine che tanto ha amato, fino alla fine. Sono stato benedetto da Dio che mi ha permesso di conoscere questo missionario-eroe e anche la capacità di scrivere parole che hanno l’onore di accompagnarlo nell’ultimo viaggio. Sento ancora la sua fragorosa risata. Chissà cosa si sarebbe inventato per tranquillizzare tutti.
26 Wednesday Sep 2012
Posted PIME-Filippine
in
La foto e’ di molti anni fa. Forse ha 29 anni. Forse un autoscatto, la macchina fotografica appoggiata sulla balaustra della scala; si vede il pomello di legno quadrato. La casa tutta di assi costruita pero’ in un luogo dove le foreste cominciavano a scarseggiare. Seduti in breve spazio: dalla sinistra Giancarlo, poi Gianni, Luciano e Nando. Siamo al piano rialzato della casa della parrocchia in Kumalarang. Era il giorno del nostro meeting mensile: Giancarlo aveva appena letto le minute dell’incontro precedente, Gianni aveva iniziato a sfogliare un giornale, Luciano un libro che non sa, anzi lo sa ma non dice cosa era, Nando osservava, forse con preoccupazione, la macchina fotografica in bilico sulla balaustra. La balaustra era molto importante perche’ ci impediva di cadere giu’ al pian terreno dalla ripida scala soprattutto nelle serate senza luce elettrica, (nella foto non si vede ma e’ li’ sotto, a sinistra, i gradini). Il resto attorno rispecchia le nostre usanze di allora: le carte da gioco vicino alla testa di Giancarlo, in alto la mensola dei libri sacri e non, al centro sulla parete, meta’ compensato e meta’ vecchia coperta appesa, alcune mappe della nostra zona. Vicino a queste la radio Sony ICF 2001 per ascoltare ogni sera le notizie dal mondo e a destra, sotto i libri, un quadro in stoffa con sole, montagne, figura umana e la frase Tumindig Ka!, cioè Alzati!, sottinteso, datti da fare, in quei tempi sottoposti a una capillare oppressione psicologica, a volte armata, alla quale non si opponeva null’altro che una passiva e disarmante resistenza.
Non saprei dire se questi primi anni ottanta siano stati anni belli o brutti so solo che, dove eravamo in Ipil, Zamboanga del Sur, siamo passati attraverso miriadi di piccole cose che ci hanno fatto sentire sempre piccoli e limitati. Ancor oggi ne subiamo l’effetto, desiderosi di abitare solo spazi angusti, una nicchia di cristianesimo, sempre in perenne ridimensionamento. Come lo era stato per Giancarlo; sino a qualche giorno fa.
24 Monday Sep 2012
Posted PIME-Filippine
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Cosa scrivere di P. Giancarlo Bossi ora che ci ha lasciato fisicamente? Tante persone l’hanno conosciuto e poi ne hanno sentito parlare dopo il suo rapimento nel 2007. Per me è stato uno dei miei migliori amici e con lui ho passato 38 anni, da quando siamo entrati insieme compagni in prima teologia al PIME di Monza fino all’ultima volta che ci siamo visti lo scorso giugno a casa sua. Di avventure e risate ne abbiamo fatte tante insieme agli altri compagni del PIME Filippine, specie i primi anni con P. Luciano Benedetti e P. Gianni Re. Il vangelo di questa domenica in cui è morto lo descrive molto bene. Gesù disse ai suoi: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me.”
Giancarlo amava i piccoli, i poveri, i diseredati. Con facilità sapeva avvicinarli e comprenderli. Per loro era capace di fare grandi sacrifici e perfino rischiare la vita. Probabilmente gli veniva spontaneo perché anche lui si considerava piccolo e povero di fronte al Signore, anche se in Italia al tempo della partenza qualcuno lo chiamava Bud Spencer per la sua corporatura e risata altisonante.
Nelle Filippine aveva passato un po’ tutte le esperienze. Al nostro primo arrivo siamo stati insieme a Tondo, tra i baraccati. Là abbiamo studiato il Tagalog, la prima lingua e si cercava di capire cosa fosse il meglio per quella gente che viveva in una povertà creata completamente dall’oppressione e dall’egoismo di pochi. Quando il PIME ha lasciato la parrocchia di Tondo, insieme studiammo la lingua Bisaya a Mindanao per poi lavorare nella Prelatura di Ipil. Furono anni duri che hanno provato il fisico di Giancarlo. Sempre su e giù per i monti a visitare le varie comunità. A Siay ne avevano una settantina. Poi si impegnò nella costruzione della parrocchia e missione di Payao con le varie strutture, in una zona dove a mala pena si arriva con una moto da cross. E poi a Sibuco, Zamboanga, a Bayog e ancora a Payao dove venne rapito 5 anni fa. Il rapimento lasciò un segno in lui. A me sembrava cambiato. Più stanco, a volte più indeciso, ma anche più generoso e pronto sempre a servire dove ci fosse bisogno, specie tra i poveri. Lo scorso febbraio aveva chiesto alla comunità regionale di poter tornare a Mindanao, anche se era cosciente degli acciacchi che la malattia iniziava a mettergli addosso. E così venne destinato ad Arakan, quasi a sostituire P. Fausto Tentorio ucciso lo scorso anno. Poi il rientro alquanto inaspettato e la malattia finale.
Per me sono tanti i ricordi e le vicende passate insieme e mi ci vorrà del tempo per considerarlo un passato che non continua perché Giancarlo fisicamente non lo vedrò più qui in questa vita. Ma la sua voce forte e dal tono basso, la sua risata disarmante, le sue battute in dialetto milanese e la sua capacità di ascoltare e confortare non scompariranno dalla mia vita.
Arrivederci Boss e dammi ancora una mano come hai fatto tante volte in passato. Ora lo potrai fare ancora meglio anche se più misteriosamente. Ciao!
Nando
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What to write about father Giancarlo Bossi now that he has physically left? Many people knew him and heard about him after his abduction in 2007. As for me he was one of my best friends and I spent 38 years near him, from when we got together in the first year of theology at the PIME teologate in Monza, Italy, until last June at his home in Abbiategrasso. We’ve gone through a lot of adventures and laughters, with the other companions in the PIME Philippines, in the early years, with fr. Luciano Benedetti and fr. Gianni Re. The John’s Gospel of this Sunday describes him very well. Jesus said to his disciples: “Whoever receives one of these children in my name welcomes me.”
Giancarlo loved the little ones, the poor, the dispossessed. He could easily approach them and understand them. For them he was able to make great sacrifices, and even risk his life. Probably it was spontaneous for him because he considered himself to be small and poor before the Lord, even if in Italy at the time of the departure for the Philippines someone called him Bud Spencer for his size and high-sounding laugh.
In the Philippines he had a bit of all experiences. At the beginning we were together in Tondo, among the slum dwellers. There we studied the Tagalog, our first filipino’s language and tried hard to understand what was the best for the people living in poverty and oppression; a result of the selfishness of a few! When the PIMEs left Tondo, we studied one of the language of Mindanao, Bisaya, and then worked in the Prelature of Ipil. Those were hard years for Giancarlo, always up and down the mountains to visit the various communities. In Siay there were about seventy chapels. Then he engaged in the construction of the parish and mission of Payao with its various structures in an area barely reachable with a motorbike. Then Sibuco, Zamboanga del Norte, back in Ipil in Bayog and again in Payao where he was kidnapped five years ago. The kidnapping left a mark on him. It seemed to have changed him. He was more tired, sometimes indecisive, but also more generous then before and always ready to serve where there was need, especially among the poor. In February, this year, he had asked the regional community to be re-assigned in Mindanao, even though it was aware that some sort of illness had began to boder him. He wanted to go in Arakan, the place were father Fausto Tentorio was killed last year in october. Then the, somehaw unexpected, return to Italy and the final illness.
As for me now there are left many memories in my heart. Past events done together. It will take some time to consider a past that, in any case, continues. I will not see him again, physically, here in this life, but his strong voice and soft tone, his disarming laugh, his jokes in Milanese dialect and his ability to listen and comfort others will not easely disappear from my life.
Goodbye ‘Boss’!!! And give me a hand again, as you did many times before. Now you, in a mysterious way, can do it even better. Ciao!
23 Sunday Sep 2012
Posted Giancarlo Bossi
inNato ad Abbiategrasso, MI, il 19 febbraio 1950, entra nel PIME a Genova nel 1973 come vocazione adulta. Emette il giuramento perpetuo il 3 febbraio 1978 e viene ordinato prete il 18 marzo 1978 da mons. A. Pirovano. Destinato alle Filippine, studia l’inglese a Watford (Inghilterra). Dopo aver lavorato per molti anni a Siay e Payao, viene richiamato in Italia per un servizio nella Casa di Rancio (1996-1999). Ripartito per le Filippine nel 2000, risiede dapprima a Bayog e poi a Payao (Ipil, Zamboanga del Sud)). Rapito il 10 giugno 2007, viene liberato il 19 luglio. Tornato in Italia per rimettersi dallo shock del sequestro (tra l’altro ha l’opportunità di incontrare il Santo Padre a Loreto), riparte per le Filippine risiedendo a Paranaque (Metro Manila) per un anno e poi nella diocesi di Mindoro Occidentale. Per motivi di salute nel 2010 deve di nuovo tornare in Italia. Le cure lo rimettono in piedi, al punto che può ripartire per le Filippine, con residenza a Manila, ma all’inizio del 2012 la salute peggiora di nuovo e deve far ritorno in Italia.
I funerali si svolgeranno nella parrocchia di origine, Castelletto di Abbiategrasso, martedì 25 settembre alle ore 15:00. Sarà sepolto nel cimitero dello stesso paese.
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Born in Abbiategrasso, MI, February 19, 1950, he entered the PIME-Seminary in Genoa in 1973 as an adult vocation. He was ordained priest on March 18, 1978 . Destined for the Philippines in 1979, he studied english language in Watford (England). He warked for many years , after a brief experience in Tondo manila, in Mindanao: Siay, Payao and Sibuco. Then he was called in Italy for a service in the Pime-House for elderly missionaries of Rancio (1996-1999). He came back to the Philippines in 2000 and moved first in Bayog and then in Payao (Ipil, Zamboanga del Sur).
Kidnapped in Payao on June 10, 2007, he was released on July 19. He returned to Italy in order to recover from the shock of thordeal (among other things he had the opportunity to meet the Holy Father, Benedict XVI, in Loreto). He returned in the Philippines residing in Paranaque (Metro Manila) for a year and then in the diocese of Occidental Mindoro . For health reasons in 2010 he was back to Italy then again briefly in Manila. In march 2012, his healt started to deteriorate again and he had to return to Italy for chemioterapy.
The funeral will be held in the parish of origin, Castelletto di Abbiategrasso, tuesday, September 25 at 3 p.m. He will be buried in the cemetery Castelletto were his parents are also buried.
23 Sunday Sep 2012
Posted PIME-Filippine
inFather Giancarlo died this morning at three o’clock. He was admitted to the Humanitas Hospital in Rozzano (Mi) more then a week ago. We remembered him in this blog with a few words. His words, chosen and sent by him to his friends in Italy two years ago.
He said : “I came across a prayer poem by Origen :
May the Lord Jesus touch our eyes to enable us to look not what you see but what you can not see. May He open these eyes so that they can contemplate not the present but the future and May He give us the eyes of the heart with which we can see God through the Spirit. ‘
Words in his ‘eyes’ which did things right.
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Padre Giancarlo e’ morto questa mattina alle tre. Era ricoverato all’Ospedale Humanitas di Rozzano (Mi). Lo ricordiamo qui con alcune parole, scelte e inviate da lui ai suoi amici in Italia quache anno fa .
” Mi è capitato tra le mani una preghiera poesia di Origene :
Possa il Signore Gesù toccare i nostri occhi per renderci capaci di guardare non ciò che si vede ma quello che non si vede. Possa aprirli questi occhi perchè contemplino non il presente, ma l’avvenire e possa donarci gli occhi del cuore con cui possiamo vedere Dio attraverso lo Spirito. “
Parole che nelle sue ‘mani’ hanno fatto bene le cose.