Cari amici e confratelli,
Enzo Bianchi in un suo articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” di qualche mese fa parla di un aspetto della fede cristiana, che le e’ centrale e che la determina e la specifica tra tutte le altre fedi. Un aspetto che purtroppo è sovente taciuto, non messo in risalto dagli stessi cristiani e che raramente appare come determinante nella vita quotidiana: la venuta di Cristo nella gloria per aprire il regno di Dio attraverso il giudizio.
Si dovrebbe sempre comprendere la storia dell’umanità come segnata da un “preciso fine”, la venuta definitiva del Signore, e da una “precisa fine”, un decreto del Dio creatore che porta a compimento la sua azione di salvezza.
Se non si crede fermamente a questa prospettiva, allora nasce nei cuori dei credenti, nei nostri cuori, l’autosufficienza, una mancanza di timore del Signore, un’indifferenza rispetto al proprio agire quotidiano, una schizofrenia tra ciò che magari si chiede agli altri con rigore in nome del Vangelo e ciò che concretamente ciascuno vive in prima persona.
Il tempo che viviamo, la nostra vita fatta di giorni che si susseguono, non è qualche cosa di omogeneo e senza sorprese, la storia umana è un cammino verso l’incontro con il Signore il quale con la morte chiama ciascuno personalmente in giudizio a rendere conto di quanto abbiamo vissuto nel rapporto con gli altri uomini e in noi stessi nel rapporto con Dio.
Chi tra noi ricorda oggi questa verità centrale della fede viene giudicato apocalittico, catastrofista.
Eppure fede e speranza nella venuta di Cristo sono inseparabili nel cristianesimo: una richiama l’altra, e insieme permettono di leggere l’esistenza di realtà invisibili ed eterne, permettono di “scrutare e vedere l’invisibile”, conoscendo così una saldezza rocciosa.
Lo scorso mese di maggio il cardinale Carlo Maria Martini ha fatto memoria dei suoi venticinque anni di episcopato ritornando da Gerusalemme alla città in cui è stato vescovo, Milano, ed ha offerto un’omelia che appare una grande testimonianza di fede, ma anche un segno della forza del credente in attesa del ritorno del Signore.
Il cardinal Martini è stato un vescovo capace di una rara testimonianza di fede e di obbedienza alla parola di Dio, della quale si è sempre fatto interprete: “schiavo della parola, inviato da quella Parola” non solo studiata ma soprattutto pregata, contemplata prima di essere annunciata.
Nella sua omelia Martini con forte perorazione chiede al Signore di ritornare a visitarci, di venire presto perché i credenti in lui amano e attendono questa manifestazione definitiva.
Sete di Dio, fame di vedere il volto di Gesù Cristo, certo, ma anche desiderio del giudizio: “questo regno venga nella sua realtà definitiva, là dove tutto sarà chiaro, tutto apparirà trasparente…”.
Ecco l’autentica sete del giudizio: non certo vendetta contro qualcuno, ma giudizio sulla storia e finalmente giustizia per i piccoli, i poveri e quanti nella storia sono stati vittime indifese e misconosciute. Guai se così non fosse! Sarebbe un’ingiustizia tutta la vita, sarebbe stata vana una vita faticosamente vissuta discernendo ciò che era bene e ciò che era male e scegliendo, per quanto se ne era capaci, di compiere il bene e astenersi dal male.
Il cristiano, proprio perché guarda al giudizio di Cristo, proprio perché ci crede e lo attende, lascia anche che quel giudizio, i cui criteri sono annunciati dal vangelo, si riverberi sul presente permettendo di leggere le vicende della storia e offrendo un orientamento all’agire quotidiano.
Ed è qui che Martini parla di relativismo cristiano, nel senso che tutte le realtà che viviamo oggi nel mondo sono relative: ci sono nella vita umana molte cose che non si capiscono, che restano enigmatiche, che sollevano in noi tanti interrogativi, che ci tentano addirittura al livello della fede: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? Dov’è il tuo Dio? Perché, o Dio, nascondi il tuo volto?”. Queste espressioni non sono solo registrate come grida dei credenti nella bibbia, sono anche le nostre espressioni oggi, in tanti momenti della nostra esistenza.
Ma alla luce del Signore giudice dei nostri cuori e delle nostre azioni si può restare saldi e non avere paura: non perché ci si ritenga irreprensibili, ma perché comunque si accetta il rimprovero del Signore e la sua purificazione, confidando nella sua misericordia.
Ed e’ con questa consapevolezza che guardiamo la nostra storia. Il Signore ci acocmpagna nella quotidianita’ con il suo fedele ed imprevedibile amore. Sta ora noi aprire il nostro core a lui e al suo giudizio e capire quando e come Lui interviene nella nostra vita.
Con amicizia,