Sebastiano D’Ambra
Ritornando ai primi passi della missione di Siocon penso di poter dire che l’esempio dei confratelli del PIME mi hanno aiutato molto. Per prima cosa vorrei ricordare P. Santo Di Guardo. Noi eravamo molto amici anche perche’ abitavamo nella stessa zona di Catania, in Sicilia. C’e’ stato un tempo in cui i superuiori di Roma avevano programmato di richiamare P. Santo in Italia per prendere il mio posto a Mascalucia e mandare me al suo sposto nelle Filippine. Poi gli eventi sono cambiati, Santo e’ morto nel 1975 e io sono arrivato nelle Filippine nel 1977 assieme a P. Salvatore Carzedda dopo una prima destinazione in Tailandia. Fallita la Tailandia come missione perche’ allora era difficile ricevere il visa in quel paese siamo stati assegnati alla Filippine e la comunita’ ci ha mandati a Siocon, lo stessa missione dove era stato il P. Santo. In quel posto ho sentito tante storie edificanti circa l’impegno di Santo circa il dialogo con i musulmani. Ho anche sentito storie raccontate dai musulmani e ribelli che ricordavano Santo. C’e’ chi mi ha detto: “ Quando P. Santo e’ morto noi musulmani abbiamo pianto!”.
Ricordo anche con ammirazione l’impegno di P. Angelo Biancat verso i piu’ poveri, lo spirito di semplicita’ e umilta’ con cui P. Trobbiani ha iniziato la sua missione a Siocon dopo essere stato vicario generale dell’Istituto, ricordo l’impegno come parroco di P. Bruno Vincenzo, e ancora il mio amico Antimo che dopo essere stato con me a Mascalucia nei primi anni del suo sacerdozio e’ stato destinato a Siocon. Insieme a lui e Salvatore abbiamo ricomposto la triade di Mascalucia.
Non so quanti di voi mi conoscono fino in fondo. Io sono uno che parla poco ma osservo e cerco di fare cio’ che mi sembra piu’ opportuno per portare avanti la missione che mi e’ stata affidata. Mi piace esplorare delle vie nuove, anche pagando di persona. Questo fa parte della mia personalita’. Alcuni potranno dire che ho la testa dura. E’ anche vero, ma cerco di usare questa “personalita’” per cio’ che mi sembra buono e giusto. E in questo contesto che iniziando la mia missione a Siocon mi sono interessato della comunita’ che mi e’ stata affidata con un’attenzione particolare ai subani della zona. Ero felice di stare con quella gente semplice. E’ stata un’esperienza che mi ha aiutato a scoprire il mondo dei tribali, le loro aspirazione e le loro paure.
Andando avanti ho capito che il Signore voleva da me un impegno maggiore per aiutare la gente di Siocon a fare un cammino di dialogo, soprattutto tra cristiani e musulmani. La situazione di Siocon con i vari conflitti, pregiudizi, attentati da parte dei ribelli e gli abusi dei militari mi hanno ricordato P. Santo, il suo impegno di portare pace tra la gente e mi sono sentito spinto a fare qualcosa di piu’. Tutto questo mi ha portato a scegliere i musulmani come priorita’ del mio impegno. Ricordo che Vincenzo Bruno aveva gia’ iniziato dei piccoli progetti tra i musulmani e col suo aiuto ho conosciuto alcuni leaders musulmani a Bucana. Tutto quello che e’ seguito forse lo conoscete perche’ ne abbiamo parlati insieme tante volte: la mia esperienza di vita in un villaggio musulmano, la mia ricerca spirituale per trovare delle motivazione profonde per continuare a vivire con quella gente, la mia riscoperta del messaggio di dialogo che inizia da Dio e ci riporta a Dio e tante altre cose che sono seguite lungo questo cammino. Forse non ho parlato tanto delle mie crisi per andare avanti, delle mie paure nell’affrontare alcune situazioni difficili, incontrare i ribelli sui monti, osservare la correzione tra i militari nella lotta contro i ribelli usati come occasione, per loro, di promozioni o avanzamento di gradi, le varie minacce ricevute e poi l’attentato del 9 febbraio del 1981 quando e’ stato colpito e ucciso Boy De Gusman, un giovani leader che mi aiutava nel mio apostolato con i subani.
Come fare a dimenticare tutto questo. Questa e’ stata la mia prima fase di missione seguita dal mio primi esilio in Italia voluto dai superiori di Roma per tenermi lontano dal pericolo. Il periodo di Roma dal 1981 all’83 non e’ stato solo un periodo di studio, per me e’ stato un periodo di riflessionee valutazione. Non volevo arrendermi all’idea che era tutto finito, che dovevo abbandonare per sempre l’esperienza iniziata e cosi’i miei studi di islamologia e arabo al PISAI di Roma sono stati un’occasione per approfondire, capire la volonta’ di Dio, conoscere meglio il mondo musulmano e la storia degli incontri e scontri tra cristiani e musulmani lungo i secoli..
Quando sono stato invitato ad accettare la nomina come superiore religionale del PIME nelle Filippine mi e’ sembrato che il Signore volesse qualcosa di piu’ da me, non solo aiutare la comunita’ negli impegni che gia’ avevamo, ma dare delle spinte nuove e tra queste pensavo di coinvolgere un po’ di piu’ i padri nell’impegno verso i tribali e i musulmani come espressioni particolari della missione. In qualche modo l’impegno tra i tribali e’ stato sviluppato grazie ai alcuni padri che hanno continuato il lavoro iniziato con i subani a Siocon e altri impegni simili nella zona di Kidapawan prima e poi nella zona di Ipil. So anche che la spinta di andare verso i musulmani ha incoraggiato P.Vincenzo Bruno a scegliere la missione di Padadian e altri a fare dei tentativi particolari nelle loro parrocchie.
L’inizio del Silsilah per me era parte di questa spinta che ho voluto introdurre come superiore regionale. Certamente ci sono diversi modi di vedere la figura del superiore relionale e quello che ho iniziato ha creato dei punti di domanda tra alcuni nella comunita’.
All’inizio la dialiettica all’interno della comunita’ era circa il metodo e poi circa alcune scelte che ho fatto nella strutturazione dell’impegno come movimento iniziato nel 1984 Pensavo di trovare entusiasmo da parte della comunita’.
Si, alcuni mi hanno incoraggiato, altri hanno mantenuto un atteggiamento freddo e anche ostile. Sapevo che il metodo iniziato non era accettato in pieno. Mi si chiedeva un maggiore coinvolgimento con i poveri ed e’ quello che ho fatto scegliendo la comunita’ di Lower Calarian a poca distanza dalla casa del PIME a Suterville. Era per me come un ritornare alla mia esperienza di Siocon. Capivo che il Signore voleva qualcosa di piu’ e sono andato avanti con coraggio, ma con trepidazione perche’ stavo per fare delle scelte che non erano del tutto condivise da tutti in comunita’.
Forse da parte mia c’e’ stata la fretta di andare avanti senza coinvolgere tanto la comunita’. Dovevo forse avere piu’ pazienza per aiutare la comunita’ a coinvolgersi di piu’ nel cammino che stavo facendo.
Piu’volte mi son chiesto: “ Che fare?” Questa e’ la domanda che spesso mi faccio e che faccio agli altri che mi sono piu’ vicini.
Ho chiesto consigli, ho pregato e ho scelto quelle vie che ho considerato piu’ opportune, anche se sapevo di affrontare un cammino difficile e rischioso. Qualche volta mi sembrava di fare il passo superiore alla ganba, come si dice. Conosco i miei limiti, ma so anche che il Signore assiste chi ha fiducia in Lui.. All’inizio anch’io non sapevo esattamente dove sarei arrivato, avevo solo la voglia di provare, di andare avanti, di portare un piccolo contributo di dialogo con l’Islam, pensavo anche che, in quanche modo, il mio impegno poteva essere una spinta per incoraggiare anche altri in comunita’ ad impegnarsi di piu’ nel dialogo con i musulmani nel posto in cui si trovavano.
Gli anni sono passati tra impegni come superiore regionale e come responsabile del Silsilah. Tutto questo per me era normale. E’ mia abitudine fare tante cose nello stesso tempo. Non e’ detto che li faccio tutte bene, ma sono convinto che le cose si aggiustano lungo il cammino. Non penso di essere un perfozionista anche se metto impegno e buona volonta’ nel fare del cose. So che questo modo di fare non piaceva ad alcuni in comunita’. Poi c’e’ stata l’uccisione di Tullio con tutte le sfide che abbiamo vissuto insieme. Subito dopo pensavo di essere liberato dalla responsabilita’ di superiore regionale, ma sono stato rieletto. Il mio sogno come superiore era quello di vedere la comunita’ dinamica che guardava al futuro, in quella fase ci sono state delle grande discussioni in comunita’ circa l’internazionalita, circa la scelta di Mindanao, la scelta della nuova parrocchia a Manila e tante altre scelte che come superiore ho dovuto promuovere cercando di trovare nella comunita’ i consensi necessari per andare avanti. In effetti abbiamo fatto insieme tanto cammino e prese delle decisioni importanti che sono coincise col periodo della legge marziale e i grandi cambiamenti dopo la EDSA revolution.
Nello stesso tempo il Silsilah come movimento era entrato in una fase di grandi impegni che ci portavano su una scena piu’ vasta. Tanti vedevano nel Silsilah un segno di speranza, ma nello stesso tempo era il periodo in cui i gruppi fondamentalisti (integralismi che hanno preceduto la fase dell’Abu Sayyaf ) cominciavano a muoversi. Abbiamo avuto della minaccie, delle letter anonime, un pacco contenente delle bombe e altri segnali e avvenimenti che volevano scoraggiarci.
Non e’ stato facile per me continuare. Ho ricordato le parole del Signore “ Chi mette mano all’aratro e si volta indietro non e’ degno di me”. Poi il ritorno di Salvatore nelle Filippine dopo in servizio in USA e la sua richiesta di lavorare insieme a me al Silsilah. Per me era strano conoscendo Salvatore il suo interesse cosi’ forte per il Silsilah. E cosi’ ha iniziato il suo lavoro al Silsilah dopo le varie fase di approvazione e difficolta’ che Salvatore ha incontrato per essere accettato dalla comunita’ come uno che si affiancava a me nel lavoro di dialgo attraverso il Silsilah.
Ho avuto dei momenti di crisi come superiore perche’ vedevo che tanti davano credito al Silsilah per lo spirito nuovo di dialogo, mentre vedevo che la comunita’ non era d’accordo con le mie scelte. Vedevo che la gente considerava il Silsilah come parte del PIME , ma il PIME non era aperto ad accettare pienamente quella esperienza. In questa fase e’ arrivata prima una micaccia di rapimento nel marzo del 1992 risolto senza troppi problemi grazie a un commander dell’MNLF che mi ha aiutato a superare quella fase e poi e’ arrivato il 20 maggio 1992 quando Salvatore e’ stato ucciso a Zamboanga e io sono stato invitato a lasciare per la seconda volta le Filippine. E’ stato il mio secondo esilio. Questa volta mi e’ costato di piu’ anche se ho accettato tutto in silenzio. Non capivo piu’ quello che stava succedendo attorno a me. Ho capito solo che era bene che lasciassi le Filippine perche’ la mia presenza poteva essere un pericolo anche per altri in comunita’.
E’ difficile raccontare tutto quello che ho provato, posso solo dire che tutto e’ sevito per approfondire il mio cammino di fede, la mia determinazione a continuare il cammini intrappreso nello spirito del “Padayon!” che il Silsilah ha sentito con forza dopo la morte di Salvatore .
Adesso sono qui per ringraziare assieme a voi il Signore per i vent’anni del Silsilah e chiedere scusa se il qualche modo, lungo il cammino, non ho dato tutta l’attenzione necessaria alle aspettative della comunita’.
Posso dire pero’ che sono sereno, che riesco a vedere tutto, anche i miei problemi di salute, come un mezzo per purificare il mio dialogo con Dio, con le stesso e con gli altri. Quale sara’ il Futuro del Silsilah? In alcune occasione ho chiesto al PIME di considerare la possibilita’ di aiutarmi a pensare al un futuro di questo movimento che, pur rimanendo autonomo, possa essere sostenuto anche dal PIME. La stessa cosa sto facendo con la Conferenza Episcolapale della Filippine, con la comunita’ Emmaus e altri settori e gruppi. Penso di arrivare a trovare una soluzione.
Essendo uno dei piu’ vecchi della comunita’ PIME nelle Filippine, a conclusione di questa mai riflessione, mi permetto di dire che noi abbiamo una grande responsabilita’ come comunita’ PIME nelle Filippine. Il Signore ha permesso tante cose attraverso noi, compreso il martirio di Tullio e Salvatore che ci mettono in una situazione di prima linea e di ammirazione da parte di tanti. Forse noi non meritiamo neppure tutta la stima che altri esprimono ricordando questo o quell’altro padre, questa o quell’altra iniziativa, compreso il Silsilah. Siamo eredi di un patrimonia spirituale che ha dato un contributo alla Chiesa nelle Filippine. Tutti questo ci spinge ad andare avanti. A continuare con entusiasmo le varie esperienze che portiamo avanti nelle parrocchie in cui siamo, nel nostro impegno specifico con i tribali, con i musulmani e nelle varie chiese locali in cui ci troviamo.
Ricordo che quando sono arrivato nelle Filippine P. Cadei mi ha salutato dicendomi:
“Benvenuto nella terra degli eroi!” Tutti noi sappiamo lo stile e le espressioni del Cadei. In effetti siamo come gli altri, con i nostri limiti, ma anche con i nostri pregi e scelte che ci hanno qualificato lungo gli anni. Come continuare a mantenere la stima che tanti hanno per noi come PIME? Questa e’ la domanda che faccio a ciascuno di voi e la rivolgo a me stesso. Ognuno di noi puo’ trovare la risposta piu’ adatta, ma quello che voglio ricordare e che stando uniti, vivendo intensamente la nostra fede, credendo che il Signore e’ con noi e ci sostiene noi possiamo fare ancora tanto bene.
E’ con questo spirito che io celebrero’ il ventesimo del Silsilah e chiedo di unirvi a me perche’ vedo che questo cammino diventa sempre piu’ difficile in questo mondo di grande contraddizione in coi l’Islam e il Cristianesomo sono chiamati a guardare avanti con speranze nonostante le varie minacce. E se guardando avanti non si vede tanta speranza dobbiamo essere noi a portarla, con la nostra vita, pronti anche a seguire le orme di Tullio e Salvatore.
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Manila (AsiaNews) The Silsilah Dialogue Movement, one of the Philippines most important peace movements, has turned 20. Its mandate was and still is to promote greater understanding and better relations between Muslims, Christians and other religions and peoples.
True to the meaning of the Arabic word for ‘chain’, Silsilah has brought together people from different parts of the Philippines. True to its mandate, it has worked to work for peace in Mindanao.
Founded in 1984 in Zamboanga City, Mindanao, Silsilah initially took small steps. In the beginning, said founder Fr Sebastiano D’Ambra of the Pontifical Institute for foreign Missions (PIME), it “was my way of sharing the experience of dialogue and peace with my Muslim and Christian friends who were open and interested in journeying with me. This required courage, determination, faith and hope.”
The first seeds of the movement were planted seven years earlier, in 1977, when Father D’Ambra was sent to his first mission in Siocon, Zamboanga del Norte, Mindanao. “It was here that I saw conflict and division among Muslims and Christians. It was here that a great desire to be a bridge of peace was born in my heart,” he recalls. “It was here that I understood in a deeper way what meant ‘dialogue starts from God and brings people back to God.’ This inspiration and understanding encouraged me to continue the mission of peace through dialogue that has its roots in a spiritual experience.”
Although things were not easy at the start, Father D’Ambra did find friends with whom he shared similar concerns. The most difficult moment came when Fr Salvatore Carzedda of PIME, the movement’s co-founder, was killed on May 20, 1992. It was a big blow for everyone in the movement. Yet, everyone knew that the road was going to be one of sorrow and hardship. For Father D’Ambra work had to go on. For him “obstacles in life provide opportunities to strengthen one’s commitment, vision and mission.”
After 20 years membership in Silsilah is in the hundreds. Its contribution to the community includes setting up Emmaus Dialogue Community in 1987, a community of Christian laywomen in Zamboanga City, whose members are blessed with the charisma of the Beatitudes of the Gospels and the spirituality of “life-in-dialogue”. With the help of local youth, Silsilah has also set up “Media for Dialogue and Peace”.
In addition to the Silsilah Center in Zamboanga, the Father D’Ambra’s movement runs a 14-hectare Harmony Village outside the city where it offers training courses. The village includes a small mosque, a small chapel and a demonstration farm for environment friendly farming methods. It is the perfect site to reflect upon God’s blessings.