22 Dicembre 2004
BANGLADESH – ANNO DELL’EUCARISTIA
L’Eucaristia, mistero accolto da tribali e indù e unica forza dei missionari
di Lorenzo Fazzini
Intervista a p. Enzo Corba, missionario del PIME: “Le ong fanno le nostre
stesse opere sociali, ma per loro finisce tutto in un diploma o nel curare
un ammalato, non vanno oltre. Nel missionario, invece, la gente cerca
qualcosa in più: l’esperienza personale di Dio”.
Roma (AsiaNews) – Anche i tribali animisti e gli indù del Bangladesh sentono
vicina l’Eucaristia, il “sacrificio che dona forza alla comunità”. Ma è la
relazione personale con Dio “quel di più” che li spinge a cercare nel
cristianesimo “la risposta alla loro sete religiosa”. Lo racconta padre Enzo
Corba, missionario del PIME da 46 anni in Bangladesh. Padre Corba,
originario del Lazio, ha una grande esperienza in missione: è stato
impegnato 16 anni a Dinajpur, poi a Barisar, nella regione di Chittagong
(sudest), in un villaggio di indù, musulmani e cristiani nel sud del paese.
Dopo 6 anni nelle Filippine, p. Corba è tornato a Dinajpur per occuparsi, su
mandato del vescovo locale, di Sinora, un ashram (“luogo di ritiro”)
cristiano. Egli lavora inoltre in vari villaggi come insegnante.
Padre Corba descrive in questa intervista il valore dell’Eucaristia per la
missione e la vita di un missionario.
Come l’eucaristia incide nella missione in Bangladesh?
Anche se il Bangladesh è un paese musulmano, l’azione della Chiesa è rivolta
soprattutto ai tribali, di religione animista, e agli indù, in particolare
ai fuori casta. Per la mentalità tribale il sacrificio è una dimensione
molto importante perché in questo fatto concreto la divinità si rende
presente. I tribali e gli indù fanno sacrifici in famiglia e offrono
qualcosa alla divinità per poi riprendere il dono sacrificato, mangiarlo e
quindi ottenere l’energia divina. Per questo i tribali e gli indù che
diventano cristiani sentono vicina l’Eucaristia, perché rientra nella loro
esperienza religiosa e culturale. Nell’Eucaristia ciò che viene offerto – il
pane e il vino che diventano il corpo e il sangue di Cristo – rendono
presente Dio e poi ritornano alla comunità. Il sacrificio eucaristico
offerto diventa una benedizione per l’assemblea e dona la forza per mettere
in pratica gli insegnamenti della vita cristiana.
Perché i tribali si convertono alla fede cristiana?
Lavoro in un villaggio da 7 anni: solo 10 famiglie sono cristiane, le altre
indù e tribali. Io faccio scuola per tutti, senza distinzione. E ogni anno
ci sono ragazzi che a Natale e Pasqua mi chiedono il battesimo. Non ho mai
chiesto loro di diventare cristiani, ma si vede che il diploma di scuola o
il cibo che do non basta loro. Me lo domanda spesso: perché ragazzi di 17-18
anni, una volta finito di venire da me a scuola, mi chiedono il battesimo?
Cosa si risponde? Cosa cercano? Cosa li attrae?
I tribali colgono l’anima profonda del nostro agire: la testimonianza
cristiana gratuita. I ragazzi che sono stati miei alunni capiscono che ho
fatto scuola e ho dato loro da mangiare senza nessun interesse né chiedendo
qualcosa in cambio. I missionari sono diversi dalle ong, che compiono un
benemerito lavoro umanitario: e i tribali lo capiscono. Le ong fanno le
stesse opere sociali di noi missionari, ma per loro finisce tutto in un
diploma o nel curare un ammalato, non vanno oltre. Nel missionario, invece,
la gente cerca qualcosa in più. Proprio nei giorni scorsi abbiamo portato in
un altro ospedale, più attrezzato, un’ammalata che curavamo alla missione.
Dopo qualche giorno lei ha chiesto di essere riportata dai missionari. Le
abbiamo detto: “Ma qui hai cure migliori di quelle che possiamo darti noi!”.
Lei ha risposto: “Sì, è vero, però da voi si respira una grande pace!”. Nel
missionario cristiano i tribali vedono qualcosa in più: l’esperienza
personale di Dio.
Cosa attira i tribali nel cristianesimo?
La preghiera a tu per tu con Dio. Quando io mi ritiro a pregare da solo,
molti di loro vengono subito a mettersi vicino a me perchè vogliono capire
cosa faccio e perché sto da solo in silenzio. Così scoprono che, oltre a
fare gesti umanitari, il missionario ha un’altra relazione, quella con Dio.
I tribali intuiscono in modo chiaro che il missionario ha un rapporto con il
suo Dio, e sono molto attirati da questo. La loro religione ha solo la
dimensione sociale, ad esempio nella festa. Ma quando vedono un missionario
pregare liberamente e senza nessuna costrizione dicono: “Anch’io voglio
vivere come te e incontrare Dio a tu per tu”.
Che peso ha l’Eucaristia per la sua vita di missionario?
Si diventa missionari perché un giorno ci si è innamorati di Gesù. Cristo è
l’amore supremo della vita del missionario, lui è tutto Egli oggi si fa
presente a noi nell’Eucaristia. Per questo la chiesa, proprio l’edificio
sacro, diventa il luogo in cui il missionario si rifugia e va per riflettere
e tranquillizzarsi nella sua quotidianità. Davanti a Gesù Eucaristia ci si
rappacifica l’anima. L’Eucaristia diventa il centro supremo di forza per il
missionario perché in essa Cristo si unisce all’uomo in modo concreto. E
questa unione è continua, dura nel tempo mentre vado in bicicletta in un
villaggio, quando da solo cammino lungo le risaie, quando predico il Vangelo
o assisto i poveri. È Cristo la forza che mi fa essere il missionario, non
ne vedo un’altra.