Popular Mechanics

When I think of Tullio (killed on 11 April 1985) I think of the burnt remains of his motorcycle cemented near his grave in the garden of the bishop’s residence in Kidapawan. A means of transport that helped him move on the tiring and unfortunate mission of Tulunan, a large peasant village located in the center of the island of Mindanao. Of that new red Honda 125, set on fire by a group of assassins, only a skeleton of rusty pipes remained. Today that wreck reminds me of old images of children who occasionally played around it. Always curious, they touched that old ruin with the liquefied tires and asked themselves: “Why then? Are motorbikes also born and die? Do they have a soul? Do they get married and dream of small bicycles? Some of the older ones responded by smiling, beginning with: “Once upon a time there was an Italian missionary” or “Once upon a time there was a red Japanese four-stroke motorbike…” Incipit of different stories that would lead to the same painful conclusion.

A mechanical device made of wire, steel and rubber that shares our history, life and death, is not difficult to understand. Tullio then, I now and others like me, have always needed low and widespread technologies, at hand, to speed up our daily work. After all, motorcycles, cars and now computers and smartphones are complex devices that instill dynamism and save time in human activities. The motorbike, in particular, remains an easy vehicle to manoeuvre. It trains you to compromise and teaches you to deal with continuous change; the eye with the mirror, the trajectory with the driver, the driver with the engine, the engine with the wheels, the wheels with the brake, the brake with the foot and the obstacle to avoid on the right or left. A metaphor for the obstacle course in real life.

But these mechanisms, if owned by a lucky few, are symbols of power. In the typical rural village of Mindanao, someone like me can own the same means of transportation as the mayor, the shopkeeper and the doctor, thus entering the category of privileged men. Already today, seeing a priest walking on foot, or on a borrowed donkey, seems out of place. Yet, years ago, without transportation, I felt no different from the farmers of Arakan, Payao, or Sibuco. While I was looking for possible shortcuts and studying the times of adaptation to nature, its ups and downs. Then, with the multiplication of activities, nature became an obstacle. It limited travel, delayed communications. We wanted more efficient technology for a more efficient church. Naturally, priority had to be given to the most distant and needy communities, to be reached in the shortest possible time. But it had already been like this around us for a long time. We imitated others. With the arrival of motors, a small radio, a large stereo, a color television, a karaoke machine, a tiny tractor, a chainsaw and so on, suddenly the machines had multiplied in a continuous triumph over nature. However, the number of Christian communities to be reached has also increased. The fact is that, perhaps, we soon forgot the rhythms of the past to project ourselves into the future; uncertain for humans, promising for the technology industry.

So it is, we have left behind that piece of humanity that loved to linger. Well … yes! How many times, sitting on top of the hot engine of a motorbike, have I observed the long strips of wet rice spread out to dry on the dirt road, taking up almost its entirety? Did they perhaps hinder me in my running? NO! Mine was just a solitary and imperious passage. I was master of the road, except for the discomfort of seeing in the rear-view mirror the old lady tidying up the rice scattered by my rattling passage. This is how she is. Technological progress, used without due attention, has inexorably distanced me from the lifestyle that I would have liked to have remained.

Finally, there is a more bitter implication. When we want to serve others with better results, help as many people as possible, multiply messages of good will, our own machines collide with the prevailing ones of others that deny and obstruct the flow of life.

Thus Bucay, the leader of the pack, who first sets fire to Tullio’s motorbike and then kills the priest to slow down time to a pace marked only by fear, slow, deadly and primordial, using another type of technology; the machine gun. Thus, a few years later, Salvatore collapses with his bleeding head on the steering wheel of the car, while he is returning home after a conversation with Muslim friends. He was killed with an American-made gun by two hitmen riding on a Japanese motorcycle. This is what will happen years later to Fausto, who was riddled, while opening the door of his Korean jeep, by counterfeit bullets intended to cause multiple internal lacerations.

The motorbike used by Tullio met a dignified end, rusting next to his bones buried there, but the machine guns and pistols continue to pass from hand to hand. No illusions, there will always be dirty technology used by people without common sense, without empathy for the lives of others, which will always try to break the backs of innocent motorists who are however increasingly convinced that they have taken the right path.

Tre anni dopo a Mindanao

Era il tardo pomeriggio del 20 Settembre 1972 quando arrivai a piedi e infangato alla casa di Ruben. Era arroccata sullo sperone di una montagna e sua moglie, Josefina, era la catechista di San Isidro, il barrio a un chilometro dall’omonimo laghetto dove sorge la scuola elementare. Il cane abbaiò e la piccola e magra donna sbucò fuori dalla porta della casa di assi di legno, seguita da diversi bambini che si affrettarono a chiedere la mia mano destra per portarla alla fronte. Un gesto di rispetto verso le persone più anziane o ritenute importanti. Mi sedetti pesantemente sulla panca della veranda dove di solito si siedono gli ospiti e da dove si aveva una magnifica vista sulla valle e la rimanente foresta. La mia barba biancastra gocciolava di sudore. Ero stanco ma cercavo di nasconderlo.

Anche in Birmania non ero mai stato un camminatore, ma mi ero adattato al sole cocente, alla pioggia e al fango. Seduto, sudato e stanco, con la voce rauca chiesi a Josefina un bicchier d’acqua, come Gesù alla Samaritana. Con signorilità, cercando di non ansimare. La donna rientrò in casa portando il mio zaino nella piccola e unica stanza, in cui avrei dovuto passare la notte. Dopo un po’ uscì con un grosso bicchiere colmo di caffè bollente. Era sempre così in qualsiasi casa che entravo. Chiedevo acqua e mi portavano il caffè. Rispettai la sua generosità e mentre aspettavo che la bevanda si raffreddasse ascoltai le ultime notizie. Dal volto un po’ preoccupato di Josefina capii che era successo qualcosa. “Beh, sì! Alcuni armati, musulmani, sono passati qui ieri notte, si sono seduti in veranda e ci hanno chiesto del cibo, poi se ne sono andati”. “Vi hanno minacciato?”, domandai. “No! Però, quando se ne sono andati, hanno fatto capire che ritorneranno”. “E voi cosa farete?”, aggiunsi. “Alcuni di noi stanno pensando di andarsene via…..lontano da qui. Ma siamo ancora indecisi”. “Non dovete avere paura!”, dissi cercando di sdrammatizzare. “Già, paura”, continuò la donna, “E’ difficile avere fiducia di musulmani armati”.

Presi tempo. Non sapevo cosa rispondere. Cominciai a sorseggiare il caffè, cercando di non mandare giù la poltiglia nerastra che si era depositata sul fondo del bicchiere. Sorseggiavo e cercavo le parole per continuare il discorso. Ma non mi veniva in mente niente di concreto. Solo alcune idee della chiesa “conciliatrice” e conciliare. Come articolarle in un modo chiaro e semplice? I vescovi, persuasi che le differenze umane e religiose non si possono evitare, avevano discusso molto circa il dialogo ecumenico con altre sette e religioni. Avevano detto e scritto che in queste ci sono valori umani e spirituali che si sviluppano parallelamente con quelli cristiani. In altre parole, per i vescovi, la loro conversione non era la prima cosa da cercare, e invitavano ad allargare la visione cristiana, alla comprensione delle culture, ai loro riti religiosi e civili con pazienza, tolleranza e studio. Era una novità per me.

La mia educazione era pre-conciliare. I missionari partivano per convertire con parole poi tradotte in opere di bene. E basta! Ma ora dalle anime si passava agli uomini, dai sacramenti alla comunità. Cosa voleva dire? Perdonare o sopportare? Come si fa a non perdere la fiducia in sé stessi, in ciò che si crede, se in altre credenze c’è lo stesso Dio e la stessa redenzione? Rimanevo perplesso. Mi avevano insegnato a riportare le anime dei ‘pagani’ nello stesso ovile, sotto la protezione di un’unica chiesa governata dal Papa. Mi sentivo prete e mi era difficile capire che un valore diverso dal mio, seppure religioso, non fosse più oggetto di conversione. Come se Cristo e i Diritti Umani fossero lo stesso Vangelo? Il progresso dell’umanità già conversione del cuore? Il socialismo birmano pari alla fede cristiana? Umm! Cercavo di capire, di aprire la mia mente alle nuove idee. Josefina, però, aspettava un consiglio, possibilmente concreto.

Pensavo e non mi veniva in mente niente . Le idee del Concilio erano come un puzzle di migliaia di pezzi, e non avevo la minima idea di come metterli insieme. All’improvviso mi sentivo ridicolo. Un po’ come andare in giro di giorno con una candela accesa per illuminare ogni mio passo. Uno si avvicina e ti dice: “Sveglia! È passato, è mezzogiorno!”. Sui monti di Sibuco si stava facendo sera, i vescovi erano lontani e solo Dio sorvegliava dei figli e figlie in difficoltà. Buttai giù altro caffè e dissi la cosa più banale che potevo dire. “Ah, non preoccuparti! In fondo i musulmani sono nostri cugini. Un po’ strani, ma sempre credenti in Dio!”. “Sarà!”, disse lei, “Ma per me è meglio che se ne stiano lontani e poi, se sono così cugini, perché non ci salutano mai per primo, e ci dicono alle spalle che adoriamo il maiale, e che tutti quelli che non sono nell’Islam sono atei e non si salveranno?”. In fondo parlava per esperienza.

Eppure una convivenza doveva pur essere possibile? Cambiai argomento e domandai se avesse continuato a insegnare catechismo nella scuola elementare. “Fino alla settimana scorsa. Poi le maestre mi hanno detto che non era più opportuno, visto che tra i bambini ci sono anche figli di genitori appartenenti ad altre sette religiose”. Una grana in più, le sette religiose e protestanti. Dovetti pensare cosa dire alle maestre per convincerle. Magari alzando un po’ la voce. Ruben rientrò dal lavoro dei campi la sera tardi. Legò il bufalo vicino alla pozza di fango. L’animale vi si immerse soffiando. Le mosche residenti sulla sua testa per qualche attimo rimasero sfollate in aria. Ritornarono subito quando riemerse. Ruben mi domandò per l’ennesima volta, da quando ci eravamo conosciuti, se in America c’erano i contadini come lui. Dissi “Eccome! E sono grandi e grassi!”

Quella notte non riuscii a dormire. Mi giravo e rigiravo sulla stuoia sotto una enorme zanzariera, sotto la quale dormivano anche i figli più piccoli di Ruben e Josefina. Loro due invece si erano sistemati con i figli più grandi sul pavimento di legno, vicino alla porta d’entrata. Ogni tanto mi arrivavano in faccia i piedi o le mani dei bambini che nel sonno si spostavano qua e là nello spazio attorno a me. Sopra, su un altarino dove c’era la statua di Santo Nino, era accesa una piccola lampada a petrolio, ricavata da un vecchio bicchiere di vetro pieno a metà di olio di cocco, nel quale galleggiava uno stoppino racchiuso in alto da un tubicino di latta conficcato al centro di un pezzo di legno di balsa. Era una mistica compagnia. Veniva lasciata accesa tutte le notti. Il suo fumo aveva annerito completamente l’angolo del tetto fatto di assi di legno. Aggirando il filo di fumo nero, minuscole farfalline bianche si gettavano a capofitto nella fiamma tremolante. Attrazione fatale. Guardavo e pensavo alla gente che viveva su quei monti. Liberi ma costretti ad affrontare una scottante realtà. Mi addormentai che erano le quattro del mattino.

Alle cinque del mattino la mistura di scariche elettrostatiche e notizie della radio a pile di Ruben mi svegliò di botto. All’inizio non ci feci caso, anzi, mi dava fastidio. Poi mi concentrai. Le notizie non erano le solite. C’era un’atmosfera di emergenza. C’era la Legge Marziale. Con la famiglia radunata ascoltai senza dire una parola. Eravamo in disaccordo. Josefina ne era felice. Così almeno manderanno soldati nel barrio, ripeteva. Io invece ero perplesso. Voleva dire rendere più arroventato il clima politico: conflitti, arresti, limitazioni. L’avevo già vissuto in Birmania, ma non ero preparato a riviverlo di nuovo in paese per giunta cattolico da quattro secoli, da quando il condottiero Ruy Lopez Villalobos, arrivò dal Messico nel 1542 . Guardai i bambini attorno a me. Era colazione e prendevano con le mani, riso condito con una pasta di pesce crudo chiamato ‘ginamos’. I visi erano sereni e gli sguardi dolci. Decisi che non erano spagnoli. Che il presidente Marcos a suo modo cercava di tenere assieme cocci di terracotta rigettati dal continente asiatico e scaricati nell’oceano Pacifico. Un bollente calderone fatto di conflitti sparsi tra settemila isole.

Quando, più tardi, mi presentai alle maestre della piccola scuola pubblica vicino al laghetto, ero nervoso. Iniziai subito ad alta voce: “Non capisco perché non possiamo insegnare religione!”, dissi. “E’ per evitare litigi”, rispose con calma la più anziana. “Litigi?” dissi io e lei: “Mah, come sa un buon numero di bambini appartiene ad altre sette religiose. Alcuni genitori non vogliono che si insegni il catechismo cattolico”. “Ridicolo! Possono sempre dire ai loro figli di non partecipare alla lezione”. “Già! Tuttavia, come dirlo, i bambini fanno amicizia tra loro e l’ora di religione è più che altro un periodo di gioco. E quindi rimangono assieme”. “Vede?!” esclamai ” Per i bambini non ci sono problemi e divisioni. E poi, scusi, non mi pare che Josefina insegni cose cattive”. “Non so cosa dirle. Questa è una cosa seria e concreta. L’ora di religione è solo facoltativa. Se crea conflitto mi pare anche giusto sospenderla”. Cercai di proporre altre possibilità. Inutilmente. Lasciai le maestre dicendo di ripensarci.

Allontanandomi lentamente verso la cappella dove stavano preparando l’altare per la messa, sbirciavo indietro. Speravo che facessero uno strappo alla regola e mandassero qualche bambino in chiesa. Il rito era ancora incomprensibile per loro. Come spiegarlo se non venivano a messa? Mi rimaneva difficile capire come quei bambini potessero maturare una fede più adulta e intellettuale senza regolari insegnamenti. Dissi a Josefina di insegnare catechismo nella cappella di sabato e domenica, e di insistere. Durante la messa cercai di spiegare ai fedeli cosa era la Legge Marziale in un paese a maggioranza cattolica. Domandando qua e là capii che la gente ne sapeva più di me. Il dibattito che ne seguì prima della consacrazione fu molto acceso. Rimasi ad ascoltare e la “predica” divenne una animata discussione dove ognuno voleva dire la sua. Spiegare e scrutare nei dubbi degli altri. Nel pomeriggio proseguii verso un’altra cappella e dopo due giorni in un’altra ancora. Sempre camminando. Da solo e con una grana in più: Legge Marziale! Cominciò a piovere. Sarei ritornato a San Isidro dopo tre mesi con la stessa voglia di capire se il verbo “conciliare” si poteva ancora pronunciare.

Da pagine sciolte raccolte a Sibuco e ritrovate da p. Nicola, 1999

People Power 38

Si celebra quest’anno il 38° anniversario dalla rivolta chiamata People Power del 25 febbraio 1986, che rovesciò il defunto dittatore Ferdinand Marcos Sr., padre dell’attuale presidente delle Filippine Bong Bong Marcos Jr. Quest’anno la commemorazione non è stata inclusa nell’elenco delle festività speciali e non lavorative del 2024. La scusa è che cade di domenica. Un segnale poco rassicurante.

Una nuova costituzione era stata introdotta nel 1987 dopo che Marcos Sr. era stato estromesso dal People Power e da allora non è stata più modificata. Oggi, tuttavia, un cambiamento di quella Costituzione è propugnato dal governo di Marcos Jr. Il motivo ufficiale è l’ammodernamento dell’economia del paese, ma c’è chi dice che, durante le modifiche, si cercherà di far approvare l’estensione dei limiti di mandato del Presidente in carica.

Secondo la “Resolution of Both Houses no. 6” , approvata dal Congresso e Senato, “studi approfonditi mostrano che la Costituzione deve essere rivista e riformulata in modo che le Filippine possano diventare globalmente competitivo e in sintonia con i tempi che cambiano”

Gli emendamenti costituzionali, comunemente chiamati “Cha-Cha” (Charter Change), sono un argomento scottante nelle Filippine. Soprattutto da quando Marcos Sr. modificò la Costituzione per prolungare il suo governo a due mandati di quattro anni ciascuno per due decenni dal 1965 al 1986, durante i quali, oltre all’imposizione della Legge Marziale, ci furono molte esecuzioni extragiudiziali. Da ricordare che né il secondo presidente Marcos (Bong Bong) né i suoi parenti hanno chiesto scusa per le atrocità commesse durante quegli anni.

Si teme che la riforma formalmente “economica” voluta da Bong Bong Marcos Jr. volta a modificare la Costituzione, possa essere, appunto, una scusa per estendere i limiti del suo mandato. In altre parole se si vuole mettere in atto questa “rivoluzione economica” il presidente deve poter esercitare il suo potere più a lungo. Attualmente, i presidenti nelle Filippine stanno in carica per un solo periodo di sei anni e non possono essere rieletti.

I tempi sono certamente diversi dal 1987 ma socialmente il paese soffre delle stesse malattie di un tempo: bassi salari, aumento del tasso di disoccupazione, incessanti aumenti dei prezzi, mancanza di protezione sociale, ingerenze dei militari, clientelismo politico e peggioramento della situazione dei diritti umani : questioni che nessuno nel governo attuale ha intenzione di affrontare.

Image

Bert Cacayan

The sad news of Bert”s passing. He died today, February 13, 2024 at the Davao Doctor’s Hospital. He was rushed to the Brokenshire Hospital in Davao on Christmas Day last year.

Bert was a former seminarian of the Regional Major Seminary, then left to work with the National Secretariat of Social Action (NASSA) working with the late Fr. Carlos Abesamis SJ, on his Bible project, then with the Mindanao-Sulu Pastoral Conference (MSPC) Secretariat (where he served as Executive Secretary), after which he founded the Managing Group, Inc. (MAGI). Later for a number of years, he worked with Ter des Hommes and covered SouthEast Asia. In the past year, he retired to his residence in Davao City.

Taylor Swift e poi …

l’Università Statale delle Filippine (UP) ha annunciato un corso sulla cantane americana Taylor Swift.  Umm! Così su due piedi, a un anziano come me, dedicare un semestre di insegnamento a una cantante pop, sembra uno spreco di tempo e di soldi. Meglio sarebbe concentrarsi su cose più serie come la politica estera con le grandi potenze, ad esempio  Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone invece che discutere se una “ragazza non ci vede” in “You belong with me” oppure perché “ci si è persi nella traduzione” nei 10 minuti di “All too well” (ho letto le prime due liriche che mi sono capitate su internet)

Io conosco questa cantante solo perché mia nipote e amiche sono sue fans altrimenti chi l’ha mai sentita. Eppure, dal 2006, ha venduto mezzo miliardo di copie tra album e singoli e questo deve pur avere avuto qualche effetto sulla popolazione filippina (in Pakistan per il Guinness World Record un ragazzo di 20 anni ha individuato 34 canzoni di Taylor Swift in meno di un minuto). O per lo meno il suo impatto economico deve essere notevole se in un tour mondiale di un miliardo e mezzo di dollari, (Eras Tour 2024 biglietti introvabili da mesi) fa pure beneficenza e distribuisce buoni pasto. E poi nel 2023 è stata eletta come persona dell’anno dalla rivista Time ( come Frank Sinatra, Bruce Springsteen, Aretha Franklin e pochi altri)

In ogni caso a Manila, studenti universitari nel corso di un semestre dovranno ascoltare una decina di album di Taylor Swift e studiare quanto dei messaggi delle sue canzoni sia penetrato nella cultura filippina. A una lettura veloce e pressapochista come la mia, la struttura dei testi delle sue canzoni appaiono genuini e spontanei: prevale quasi sempre lui e lei altrimenti soli, calati in varie situazioni, a volte temporali oppure tormentate, geografiche, sociali, nostalgiche dell’infanzia passata nel country suburbano americano.

L’obiettivo del corso sembra poi quello di capire come in tutto questo, all’interno dell’industria musicale, abbia giocato la fortuna, il talento oppure le capacità imprenditoriali. E poi, come la cultura e la politica americana (Swift aderisce al Partito Democratico e ha criticato varie volte Donald Trump) abbiano influenzato il suo percorso musicale.

Si discuterà pure di transnazionalità perché la musica non ha frontiere. Circa la cantante si presume, infatti che (come nel resto del mondo) la generazione “Z” filippina abbia sviluppato relazioni di empatia con lei (si è esibita nella Filippine in due concerti, 2011 e 2014). Del resto, è una star che usa massivamente i mass media: Internet, TV, radio e giornali, oltre alla pubblicità, i tweet, Facebook, Spotify, eccetera, che in modo subliminale determinano l’acquisto di prodotti e la diffusione di idee: tutte cose degne di essere studiate.

Insomma, pensavo fosse una trovata “paesana” relegata solo nelle Filippine, ma poi quando mi son messo a navigare su internet mi sono imbattuto in diversi corsi universitari dedicati ai più noti cantanti moderni. Ce n’è uno perfino sulla “Teologia di Bruce Springsteen” presso la Rutgers nel New Jersey dove si esaminano le sue interpretazioni dei temi biblici. La cosa mi fa pensare, dato che la Teologia nostrana è legata solo ai canti di chiesa o, in momenti superbi ma rari, al Messiah di Handel. Mah! Forse bisognerebbe pensarci e tenere conto di come le nuove tendenze musicali e i loro interpreti stiano influenzando larghi strati, anche nominalmente religiosi, della popolazione mondiale.

Va be! Chissà a chi questo corso potrà servire. L’impressione è che gli studenti si metteranno a discutere su quale canzone di Swift sia la più accattivante e quella no, più o meno così si fa a tavola quando discutiamo, pro e contro, su quello che ha detto o scritto quella persona famosa. E tuttavia per la diffusione di idee non possiamo limitarci a un banco di scuola o a una tavola da pranzo. La musica rimane uno spirito senza frontiere. Per quel che ci riguarda da vicino, sarebbe interessante riprendere, con i mezzi attuali, il dialogo musicale abbandonato molti anni fa e mai ripreso, con il film “Mission” e l’oboe di fratel Gabriel. Del resto “Tutto ciò che perdi è un passo che fai” dice Taylor nel testo di “You’re on Your Own, Kid” .

Luciano

Manila’s traffic is so bad Coldplay wrote a song about it

By Kathleen Magramo, CNN

Manila’s notorious traffic became a major theme of Coldplay’s visit to the Philippines, with frontman Chris Martin penning a song about the “insane” jams, and the country’s leader coming under fire for taking a chopper to one of the band’s two concerts near the capital.

Philippine President Ferdinand Marcos Jr., his wife and their entourage arrived at the Philippine Arena in Bulacan, north of Manila, by helicopter on Friday, according to photos shared on social media. Online critics questioned why Marcos was spending public funds to attend a concert and criticized his lack of action in fixing mass transport.

Urban mobility has long been an issue for the millions of Filipinos who face the daily reality of sitting for hours in traffic, especially in the capital, where private cars, jeepneys, taxis, buses and tricycles compete for road space, while the metro system remains underdeveloped.

On the other end of the spectrum, it is not uncommon for politicians and business executives – or their family members – to take private choppers or small aircraft to get around.

Following a barrage of online criticism, Marcos’ security commander defended his mode of transport, citing “unforeseen traffic complications” that posed security risks to the president, according to a statement on Saturday. Even Coldplay singer Chris Martin remarked on Manila’s congestion problem, thanking concertgoers for “coming through the traffic.”

“We’ve seen some traffic, but I think you have the number one in the world” he said, while Marcos was seated in the crowd, according to videos circulated on TikTok and X.

The next night, Martin dedicated an impromptu song about it, singing, “There is only really one thing that remains. The traffic here in Manila is completely insane.”

Manila topped the 2023 TomTom Traffic Index list of metro areas with the slowest travel time of almost 400 cities in 55 countries worldwide. The transport-focused tech company estimates that Manila’s average speed during rush hour is 19 kilometers per hour (11 miles per hour), and about 52% of its roads are congested. Typically, it takes more than 25 minutes to travel just 10 kilometers (6.2 miles).

“If you wanna drive somewhere then I’m warning you. A 2-mile drive will take a week or two,” Martin added to the tune, as fans cheered in agreement. “If you wanna get back home in time for your bath, well, I’d allow yourself about a year and a half.”

Jeepneys are the result of recycling US army jeeps left in the Philippines after World War II. Each jeepney has a different owner, and great care is paid to the way in which they are decorated. (Photo by Alain Nogues/Sygma/Sygma via Getty Images)

Will the colorful, loud jeepneys of the Philippines soon disappear from the roads?

Addressing the country’s ranking on TomTom, the Department of Transport said in a statement Friday that it is carrying out road transport infrastructure projects aimed at “improving commuter experience while addressing worsening traffic in highly urbanized areas.”

“We will fast track road projects while collaborating with appropriate agencies with the help of the private sector,” Transport Secretary Jaime Bautista said.

The Philippines this year will begin to modernize diesel-fueled jeepneys with minibuses. It is also building a mass transit railway system that is expected to be operational by 2025, according to the government-run Philippine News Agency.

Ritorna in strada il Nazareno Nero

Anche oggi 9 gennaio, come in passato, più di un milione di cattolici hanno partecipato alla processione in onore del Cristo Nazareno Nero che si è snodata per più di 6 chilometri per le strade di Manila.

Molti filippini credono che l’icona, una statua a grandezza naturale di Gesù che porta la croce, abbia poteri curativi miracolosi e che toccarla, o toccare le corde attaccate al suo enorme carro, possa guarire ogni genere di malattia e portare fortuna a loro e ai loro cari.

In passato molti devoti seguivano scalzi il carro e vi si arrampicavano sopra facendo cadere altri mentre le guardie sul carro spingevano a terra quelli “ribelli” per consentire al corteo di continuare il viaggio.

Quest’anno, tuttavia, l’icona è stata collocata per la prima volta in una teca di vetro e ai partecipanti è stato vietato di salire sul carro, anche se molti lo hanno fatto lo stesso con l’intento di strofinare sul vetro le loro bianche tovagliette nella speranza di impregnarle di potere curativo.

Quest’anno molti si sono uniti liberamente al corteo perché si è ritornati alla tradizionale processione, dopo che il Covid-19 dal 2020 aveva costretto i responsabili a ridimensionare drasticamente la portata dell’evento

La processione si è svolta senza grandi incidenti, del resto le autorità governative si sono cautelate bloccando i segnali dei telefoni cellulari per impedire detonazione a distanza di ordigni esplosivi.

Non si sa perché la statua, scolpita in Messico e portata nelle Filippine all’inizio del XVII secolo, sia nera. Alcuni affermano che è di legno proveniente dal tronco scuro di un albero messicano chiamato “mesquite”. Altri, invece, credono che abbia preso il suo colore dopo essere sopravvissuta a un incendio a bordo di un galeone proveniente dal Messico.

In ogni caso dopo 400 anni attira ancora milioni di fedeli, non solo il 9 gennaio, ma ogni giorno dell’anno, ma là dove è riposta: la Basilica di San Giovanni Battista a Quiapo, Manila.

Thak You Bishop Capalla

The news of the death of  Archbishop  Fernando Capalla on January 6, 2024, who died at the age of 89 is a  time of sorrow for all of us and for me also an occasion to remember him as a good friend who contributed a lot  for the  promotion of interreligious dialogue in Mindanao and on the national and international level.

When I started the Silsilah Dialogue Movement in 1984, he was happy of this new beginning to the point that when he was elected as chairperson of the Catholic Bishops’ Conference of the Philippines (CBCP) for the Commission on Interreligious Dialogue he asked me to be the executive secretary and allow me to have the office in Zamboanga near the office of Silsilah.

This great sign of trust and friendship helped me a lot to be challenged more in the mission that I started in dialogue with the Muslims in Zamboanga and along the years in Mindanao and on the national level. 

Silsilah invited Archbishop Capalla in Zamboanga for some seminars and for the summer course. He was also with us the day that Fr. Salvatore Carzedda, PIME was killed in Zamboanga City on May 20, 1992. I can also recall a critical moment when in Davao I was rushed to the hospital and he helped me in many ways. 

 I believe many of us can say many things about the goodness and generosity of archbishop Capalla. I think he is well known for starting the Bishops Ulama Forum that after a few years was renamed as Bishops’ – Ulama Conference. I was at his side as executive secretary of the CBCP for the Commission on Interreligious Dialogue. I remember the first gathering in Cebu in 1996 and the many other gatherings in the different parts of Mindanao and Manila. For two occasions we also did the gathering of the Bishops-Ulama Conference in Harmony Village, Zamboanga City.

Our friendship was expressed in many ways and he was an honorary member of the Board of Trustee of Silsilah, he encouraged me to continue the dream to start the Emmaus Dialogue Community in Zamboanga. In that occasion as chairman of the Episcopal Commission for Interreligious Dialogue of the CBCP he wrote: 

“The diocesan Bishop is advised by the new Code of Canon Law: ”to discern the new gifts of the consecrated life which the Holy Spirit entrusted to the Church (C.605). The Emmaus Dialogue Community is a new form of consecrated life in the local church.

I believe that this new community is a gift and a blessing to the local Church and to the Church at large. With dialogue as its primary objective it answers a long-felt need in this Church’s Ministry.”

Guided by this spirit and friendship with the new Emmaus Dialogue Community that after was renamed Emmaus Dialogue Movement opening the charism to all in the Church, Archbishop Capalla volunteered to be the patron bishop of this new reality of Emmaus in the Church and was very happy when during one of my visits in Davao I shared to him that Emmaus Dialogue Movement is ground on and we opened an Emmaus College of Theology, major on Interreligious Dialogue.

Many other things can be said about the passion and determination of Archbishop Capalla to promote many forms of dialogue at all levels. He was instrumental in starting the Prelature in Marawi, he also encouraged in the Bishops-Ulama Conference to promote the Mindanao Week of Peace that was initially stated in Zamboanga by Peace Advocate Zamboanga (PAZ).  He was also member of the Pontifical Commission for Interreligious Dialogue of the Vatican and on national level instrumental for the peace process between the government and the Moro National Liberation Front (MNLF) and Moro Islamic Liberation Front (MILF) that now have an official agreement with the government.  

Today the Church in the spirit of synodality is inviting us to continue the mission of Archbishop Capalla. There are good signs in this right direction in many places and dioceses. 

It is my desire that all of us continue to remember the legacy of Archbishop Capalla and continue the mission of dialogue and peace with courage and determination. 

Fr. Sebastiano D’Ambra, PIME

Founder of the Silsilah Dialogue Movement