Testimonianza del 2015

marianiTrent’anni fa, dopo 20 anni negli USA dove sono stato ordinato e dopo dieci in Italia (due anni alla Gregoriana e 8 anni come Rettore del Seminario Teologico a Monza) finalmente partivo per le Filippine dove sono arrivato ai primi di febbraio 1985. Come è usanza nella Regione, ho incominciato subito a visitare i vari posti di missione per farmi un’idea più concreta del lavoro e per incontrare i Confratelli che per altro conoscevo già molto bene perchè, per la maggior parte, erano stati miei alunni a Monza. Erano ancora i tempi bui della dittatura di Marcos e, viaggiando, si respirava ancora tanta paura sia per la presenza di militari armati un pò ovunque e posti di blocco su tutte le strade. Sono stato anche a Tulunan nella diocesi di Kidapawan che si trova nel cuore di Mindanao, dove la militarizzazione era ancora più pesante per la presenza dei ribelli sia Musulmani che Comunisti (NPA/ New People Army). C’era una vera oppressione dei più poveri spesso sospettati, angariati e anche uccisi come simpatizzanti NPA. Ecco la situazione della diocesi di Kidapawan in una lettera che p.Tullio Favali invia ai suoi familiari poco più di un mese dopo il suo arrivo nelle Filippine: Tutti qui sono preocupati della situazione attuale, segnata da crisi economica, forte tensione politica fra opposizione e classe politica la potere, malcontento generale per il sistema dittatoriale, paura diffusa nella gente comune, dovuta alle ispezioni militari a domicilio, con conseguenti arresti di persone sospettate di appartenere ai ribelli o di pateggiare per essi; imprigionamenti, deportazioni e frequenti casi di uccisioni dopo l’arresto, senza previo processo; incolumità dei militari giustizieri che compiono soprusi con la protezione governativa, a dispetto della legge civilee dei più elementari diritti umani. I missionari, non solo i nostri, difendevano i più poveri ed erano la voce di chi non aveva voce e di quanti soffrivano sotto la Martial Law/ la militarizzazione imposta dal dittatore Marcos. Erano tutti tacciati di essere ‘comunisti’.

Era corsa voce che il presidente Marcos era molto infastido dall’opera dei missionari, opera che era una chiara condanna della militarizzazione, tanto da inviare una lettera ai suoi Generali a Mindanao: Date una lezione a questi missionari uccidendo un prete o una Suora. E così è avvenuto. P. Tullio, dopo avere studiato la lingua locale (Ilongo), da pochi mesi era stato nominato parroco di Tulunan mentre p. Pietro Geremia, veterano delle Filippine, era il suo assistente. Entrambi erano dei carissimi amici…avevo lavorato con p. Geremia per diversi anni negli Stati Unitip. Tullio era stato mio alunno a Monza. Come si sa Tullio, dopo essere stato nel seminario di Mantova fino alla vigilia dell’Ordinazione, era uscito per verificare la sua vocazione. Erano gli anni della contestazione nella Chiesa e molti preti e Religiosi incominciavano a lasciare il sacerdozio. Ha trovato un lavoro, si è fatto la fidanzata, ha cercato di distrarsi in tutti modi, ma il Signore lo voleva prete e prete missionario. Infatti, chiede di entrare nel PIME che aveva conosciuto attraverso ‘Mondo e Missione’. Dopo un breve periodo di discernimento nella nostra Casa di Busto Arsizio, l’ho accolto al Seminario Teologico a Monza dove accetta di buon grado (aveva 32 anni!) di rifare lo studio della Teologia perchè potesse cogliere le novità che il Concilio aveva portato. Erano i tempi in cui in comunità c’erano tensioni tra Focolarini, membri di Comunione e Liberazione, Neocatecumenali e quelli che non erano di nessun movimento…Tullio era era l’uomo della pace che con la sua naturale bontà, la sua maturità e saggezza era amico di tutti. Tra me e lui c’ è stata una particolare vicinanza al punto che mi ha chiesto di predicare alla sua prima Messa e così ho conosciuto ancora più da vicino la mamma Elide e la sorella Licia. Destinato alla Papua Guinea, partì subito per gli Stati Uniti per lo studio dell’Inglese. Il Visto, tuttavia, tardava ad arrivare e allora è rientrato in Italia dove gli fu chiesto di risiedere a Sotto il Monte per l’animazione. Passava a salutarmi quasi ogni settimana. Si sedeva nel mio studio e mi partecipava la sua crescente insofferenza perchè il tempo passava e il Visto non arrivava. Gli ho suggerito di chiedere ai Superiori di essere trasferito alle Filippine dove era più facile ottenere il Visto. E così ha fatto; i Superiori l’hanno accontentato. Ci siamo salutati con un ‘arrivederci presto’ perchè ormai anch’io ero alla fine del mio mandato come Rettore del primo Triennio Teologico e desideravo partire per le Filippine! Gli ho perfino suggerito, una volta arrivato nelle Filippine, di farsi destinare con p. Geremia che già allora era molto attivo e stava dando filo da torcere ai militari perchè difendeva i più poveri tra i poveri. Era sospettato di essere simpatizzante degli NPA. E così è avvenuto.

Senza saperlo, l’ho mandato al suo martirio. Nel marzo 1985, coninuando il mio giro come dicevo sopra, arrivo a Tulunan nella diocesi di Kidapawan. Mi intrattengo con lui e p. Geremia per una settimana. E qui mi succede una cosa molto strana. Tullio mi invita a vedere la sua camera, per altro molto spartana, e mi mostra diverse cose. Mi mostra dove teneva un regalo per sua mamma per la sua prossima vacanza, dove teneva i soldi, i suoi documenti e altre cosette. Un mese dopo ero là nella stessa camera per fare la valigia da inviare con i ricordi alla famiglia. Sapevo dove mettere le mani, ma c’era ben poco da mandare a casa. Ha sempre vissuto molto poveramente cercando sempre l’essenziale sia nelle parole che nelle cose. Un mese dopo, l’11 aprile trent’anni fa, nel tardi pomeriggio, p. Tullio veniva ucciso da una banda di paramilitari che sono Cristiani fanatici, la banda dei fratelli Manero, una banda notoria in tutta la regione per la sua crudeltà specialmente verso i Musulmani. La banda dei fanatici si trova al Crossing 125 nel Barrio La Esperanza, nelle vicinanze di Tulunan, dove sono arrivati il mattino con un grande cartello con scritto diversi nomi. I nomi sono di P. Peter Geremia e di alcuni leaders della parrocchia che sono tutti condannati a morte perchè ‘comunisti’. Rientrato in casa parrocchiale da una festa di Battesimo in uno dei tanti villaggi che sono la Parrocchia di Tulunan, p. Tullio trova un biglietto, per altro indirizzato a p. Geremia. Uno dei leaders il cui nome appariva sul cartellone è già stato ferito dai Manero e chiede aiuto. P. Geremia non è ancora tornato dai monti dove si era recato per una festa patronale, e allora p. Tullio prende la sua moto e parte per vedere se può essere di aiuto. Entra in casa del parrocchiano ferito per nulla intimorito dalle urla e dagli insulti dei fanatici. Poco dopo, guardando fuori dalla finestra, vede che stanno dando fuoco alla sua moto e quindi esce per chiedere spiegazioni; le sue mani sono alzate in segno di dialogo. Per tutta risposta uno dei Manero, Edilberto, che era alle sue spalle gli spara spappolandogli la testa e il cervello. Il povero Tullio cade riverso a terra e quando p. Geremia lo raccoglie qualche ora dopo in una pozza di sangue, le sue braccia sono incrociate sul petto in segno di pace e di dialogo.

Intanto, io avevo continuato il mio giro nei vari posti di missione e nel pomeriggio del 12 aprile sono rientrato alla Casa Regionale a Zamboanga City. Trovo P. Sebastiano D’Ambra che, tutto sconvolto, mi dice che Tullio è stato ucciso. Resto senza parole e poi vorrei sapere di più, ma le notizie sono molto scarne…a quel tempo le comunicazioni con le zone rurali interne erano pressochè inesistenti. P. D’Ambra sta per partire in aereo per Davao per poi recarsi a Kidapawan e mi informa che ha già fatto il biglietto anche per me perchè, il mattino dopo, andassi a Manila per tenere il contatto con i media. Infatti, giornali, notiziari TV e radio, specialmente quelli controllati dal governo, stavano facendo una campagna di denigrazione pubblicando grossolane falsità tanto per screditare il nostro Confratello. Tullio veniva presentato come un simpatizzante degli NPA, quindi comunista. I dispacci del governo sostenevano che Tullio era stato eliminato dagli stessi NPA per un suo presunto sgarbo. Sono stato a Manila, ospite dei Padri Clarettiani, per una settimana passando il mio tempo rilasciando interviste ai media. Ogni giorno ero in contatto con p. D’Ambra per telefono tramite una linea speciale che il governo aveva messo a disposizione dell’allora Vescovo di Kidapawan, Mons. Orlando Quevedo, neo Cardinale di Cotabato City. Mio compito era anche quello di incontrare il Cardinale di Manila, Mons. Sin, e il Nunzio Apostolico, Mons. Bruno Torpigliani per ragguagliarli sulla verità dei fatti. Entrambi non sapevano cosa pensare nella confusione delle contrastanti notizie che uscivano dai Media. Per entrambi, i Padri del PIME , per via dei trascorsi di Tondo con le varie espulsioni di alcuni nostri missionari, erano sotto sospetto. Mi ricordo che il Cardinale, dopo avermi ascoltato e accolto la verità dei fatti, prima di congedarmi, mi disse: You people are always in trouble! (Voi gente siete sempre nei pasticci!). Ho risposto: Maybe that’s because we are always on the side of the poor! (Forse perchè siamo sempre dalla parte dei poveri). Il Cardinale ha taciuto e mi ha salutato. Il Cardinale poi accettò di celebrare una Messa solenne di suffragio per p. Tullio nella grande Chiesa dei Clarettiani a Quezon City, alla presenza di una grande folla di preti, Religiosi e Religiose, e tanti laici. La sua omelia, con parole fortissime contro la dittatura e parole di lode per il sacrificio di p. Tullio, ha fatto tremare Marcos. Qualche mese dopo il Cardinale ci ha affidato quella che è ancora oggi la nostra Parrocchia a Paranaque and Las Pinas Cities, Mary Queen of Apostles Parish , nominandomi Parroco. E’ stato più duro ‘convertire’ ai fatti il Nunzio Apostolico. Era molto sul negativo nei nostri confronti ed era più per la linea del governo e non voleva credere alle notizie che gli stavo dando nei dettagli. Avevo con me il numero della linea diretta per parlare con il Vescovo di Kidapawan, ma non sembrava volermi ascoltare. Mi ripeteva che io ero appena arrivato nelle Filipine e non sapevo bene quanto difficile fosse comunicare con le provincie di Mindanao. Gli ho comunicato il numero del Vescovo di Kidapawan pregandolo di provare a chiamare. Con riluttanza chiese alla Suora che fungeva da sua segretaria di fare il numero. Con grande sorpresa del Nunzio, pochi minuti dopo la Suora rientra e dice: Eccellenza, il Vescovo di Kidapawan è in linea! Solo dopo che Mons. Quevedo ha confermato la verità dei fatti, il Nunzio diede la notizia a Roma e così Giovanni Paolo II dichiarava pubblicamente: Il mio commosso ricordo va in questo momento all’indimenticabile figura del giovane missionario del PIME, il p. Tullio Favali, barbaramente trucidato nelle Filippine…mentre svolgeva il suo ministero di riconciliazione e di pacificazione.

Ho partecipato a diverse marce di protesta per chiedere giustizia per p. Tullio, organizzate dall’ Associazione dei Superiori Maggiori dei Religiosi e da altri enti cattolici. Le manifestazioni erano proibite e allora noi si marciava stile processioni, con croce, candelieri, chierichetti, statue di santi mentre noi preti eravamo tutti in veste talare bianca o anche con la maglietta con la foto di p. Tullio, con il suo viso buono e sorridente, per cui non potevano fermarci. C’erano striscioni di ogni genere e in particolare dei cartelloni con la foto di p. Tullio riverso al suolo in una pozza di sangue insieme dei leaders cristiani uccisi durante la dittatura, con la scritta: How many more? (Quanti ancora?). Da Manila sono andato a Kidapawan per partecipare ai funerali. I funerali sono stati un trionfo, quasi una festa di popolo…non avevo mai visto una tale folla. Era una celebrazione della vita, non della morte! La povera gente che viveva nella paura e nel terrore, ha trovato in quella folla immensa che piangeva, cantava e pregava mentre accompagnava la bara, un senso di liberazione. Ai funeralli abbiamo partecipato tutti noi del PIME nelle Filippine insieme al nostro Superiore Generale, p. Fernando Galbiati, venuto appositamente da Roma, con preti e Religiosi venuti da tutte le parti delle Filippine. Nel frattempo avevamo chiesto alla mamma di p. Tullio se consentiva a lasciare la salma del figlio per essere sepolto nelle Filippine. Donna semplice, ma di grande fede, aveva donato il suo Tullio in vita, l’ha donato anche nella morte.

Dopo i funerali il Superiore Generale ci ha radunati per comunicarci che era pronto a farci rientrare in Italia. Come si poteva lasciare la missione proprio in quel momento così importante di stare vicino all nostra gente soprattutto dopo che Tullio riposava con noi in terra Filippina? Siamo rimasti tutti al nostro posto per continuare anche la missione incompiuta di p. Tullio. Il suo martirio, nè voluto nè cercato, perchè Tullio aveva tanta voglia di vivere e lavorare, è stato una vocazione e un dono del Signore che misteriosamente l’ha scelto come suo Testimone/ Martire. Il martirio di p. Tullio ha scatenato una grande reazione a Manila diventando simbolo dell’opposizione alla dittatura di Marcos. E’ stato detto che il sangue dei martiri è il seme di Cristiani; il martirio di Tullio ha portato a una vera fioritura di vocazioni nella sua parrocchia di Tulunan e siamo sicuri che il suo sacrificio per le Filippine ha reso possibile la Edza Revolution, la cosidetta Rivoluzione dei Rosari e dei Fiori che ha fatto cadere la dittatura di Marcos.

Termino questa carrellata di ricordi personali riportando le parole del messaggio di p. Geremia ai partecipanti alla veglia di preghiera e di digiuno che il Centro missionario di Sacchetta di Sustinente (Mantova) ha organizzato lo scorso 10 aprile, vigilia del trentesimo anniversario dell’uccisione nelle Filippine di padre Tullio Favali, missionario del Pime originario di quella comunità. Noi Missionari del PIME nelle Filippine siamo rimasti in pochi, un piccolo gruppo marcato dal martirio. Dopo P. Tullio, P. Salvatore Carzedda fu ucciso a Zamboanga nel 1992. Seguirono i rapimenti di P. Luciano Benedetti e P. Giancarlo Bossi. Poi nel 2011 P. Fausto Tentorio fu ucciso in Arakan… Ora io ho preso il posto del Fausto in Arakan insieme con P. Giovanni Vettoretto, e con tanta gente ci impegniamo per la giustizia e pace come a Tulunan. Tullio ha aperto la strada del martirio. Preghiamo che lui e tanti martiri che ci conoscono continuino a guidarci nel cammino verso la giustizia e pace anche in Arakan e in tutta l’isola di Mindanao. Purtroppo tutta questa grande isola sta affrontando una nuova ondata di terrorismo e violenza che spaventa la gente come un terribile tifone. Si stava concludendo un accordo di pace con il movimento rivoluzionario mussulmano quando d’improvviso sono scoppiati scontri disastrosi. Preghiamo insieme con i martiri perché possiamo ottenere il dono dello spirito di pace, la pace promessa dal Cristo risorto e dalla Madonna della pace…